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 2020  gennaio 05 Domenica calendario

Biografia di Lamberto Boranga

Lo strano caso del dottor Boranga e del signor Lamberto. Ma qui non c’è un uomo dalla doppia personalità: la buona del dottor Jekyll e la cattiva di mister Hyde. Lamberto Boranga, di cattivo, non ha nulla. Eppure lo «strano caso» resta. Così come restano le tante anime nascoste che nel «Bora» (abbreviazione perfettamente «ventosa» per un portiere abituato a volare con corpo e mente) si fondono nella passione per lo sport, la medicina, la poesia, la scrittura. E per il pallone, ovviamente: «Il primo me lo regalò mio nonno, dopo avermi dato uno scappellotto perché un istante prima avevo rischiato di finire sotto un’auto attraversando la strada di corsa e senza guardare». Spericolato. Come nelle uscite alla kamikaze. In stile Ghezzi. 
Un moto perpetuo di passionalità che non lo abbandona neppure a telefono: «Ho appena finito di allenarmi e sto andando in ospedale», spiega al Giornale; niente paura, «Bora» in ospedale ci va non perché è infortunato, ma in qualità di medico. 
Ha 77 anni (nato a Foligno il 30 ottobre 1942), ne dimostra una trentina in meno. «Il mio mito è stato Albertosi – racconta – quando andai alla Fiorentina a fargli da secondo lui era già un campione, volevo imitarlo in tutto. Era carismatico e parava senza guanti». Un particolare che è rimasto impresso a Lamberto, tanto che in carriera anche lui ha spesso disdegnato i guanti, dedicando alla mitologia del «portiere senza guanti» uno dei tre libri che ha dato alle stampe: «Raccontami in maniera romanzata mi piace». Bella penna, quella di Lamberto narratore: «Ho cominciato a scrivere sul Guerin Sportivo, poi il gusto delle storie mi ha catturato». 
Di sbagli, nella vita, Boranga ne avrà commessi. Come tutti. Il meno grave è la foto che Lamberto ha scelto per Whatsapp: aderentissima tenuta atletica con canottiera gialla (in tinta con i capelli mechati) e pantaloncini neri; fisico bestiale da recordman e un grande avvenire dietro le spalle. Se digitate «Boranga» sul un motore di ricerca, la marmitta subito sgasa vapori vintage: «Cresciuto nel Perugia, esordì in Serie A con la maglia della Fiorentina nel corso del campionato 1966-1967; indossò poi la maglia di Reggiana, Brescia, Cesena, Varese, Foligno e Parma». 
Segni particolari: «Nel corso della carriera di calciatore si laureò in Biologia e in Medicina. Nel 1992, divenuto medico sociale della squadra dilettantistica di Bastardo (località in provincia di Perugia), a 50 anni tornò tra i pali per una domenica a causa del forfait contemporaneo di tutti i portieri della rosa. L’incontro si concluse con una sconfitta per 1-0 e Boranga si distinse per il fisico ancora asciutto e per un pregevole intervento in tuffo, grazie al quale impedì al pallone di insaccarsi sotto la traversa». 
Uomo onesto, il «Bora», per nulla timoroso di sfidare le folate maligne del doping: non a caso nel 2005 denunciò «il dilagare della cocaina nel mondo del calcio», sostenendo «la necessità di test tricologici per individuare i consumatori». Un uomo, il Bora, che non ha paura di guardarsi allo specchio. Sapendo di ricevere indietro riflessi plurimi. 
«Goliardo irriducibile, clown da stadio, portiere duro e temerario, ragazzino scapestrato, studente preparato, uomo di cultura, donnaiolo incallito, marito e padre modello», ha provato a squadernarlo Andrea Bacci nel libro Il cappotto spagnolo. Parate, pazzie e voli acrobatici del dottor Lamberto Boranga (Limina). Curriculum appassionante come le sue autobiografie immaginifiche, dove il tic del «ritiro dalla porta» e il tac del «rientro in porta» si inseguono col ritmo di un pendolo. Lui i guanti al chiodo non può appenderli, anche perché i guanti li ha a noia. Questione di pelle. Così il chiodo si è rassegnato a rimanere orfano. Con la porta sempre girevole come quella di un Gran Hotel Excelsior. 
Memoria d’acciaio come i suoi muscoli da fare invidia a un ventenne palestrato: «A 66 anni ritornai in campo con la maglia dell’Ammeto, squadra di seconda categoria umbra. Dal 2011 al 2015 ho difeso la porta del Papiano, stessa categoria. Nel 2018 sono passato alla Marottese, neonata società marchigiana di terza categoria».  
Emozioni diverse da quel Cesena-Juventus finito 2 a 1, cui Boranga ha dedicato addirittura un libro: «Non ci posso credere! Eppure è accaduto – scrive Lamberto – Erano gli anni ’70 un periodo esaltante della nostra storia. C’era voglia di reagire, necessità di ribellarsi, di migliorarsi e di riemergere». Con Gigi Riva («Il più grande attaccante tra quelli che mi hanno fatto gol») simbolo del riscatto dei piccoli contro i grandi. C’era un po’ di Cagliari anche nel Cesena di Boranga. E allora ecco che si torna a quel mitico Cesena-Juventus del 21 marzo 1976, metafora dell’impossibile che diventa possibile: «Tra il primo e il secondo tempo mister Marchioro ci convinse che se avessimo dato tutto, qualcosa sarebbe successo. Aveva ragione. Battemmo i bianconeri. Giorno indimenticabile».
Nessun rimpianto per Lamberto. Neppure quello di aver perso l’occasione di andare al Milan per continuare a dare gli esami all’università, beccandosi da Nereo Rocco un sonoro «Ma tu sei proprio pazzo!». No, non era – non è – un pazzo, il Bora. Ma solo uno che non ha mai smesso di mettersi alla prova, di superare i limiti, di sfidare se stesso. Soprattutto non appena la nostalgia degli anni ruggenti fa capolino tra le figurine Panini; tra le foto in bianco e nero con un tale Zoff: «L’amico Dino che, quando l’ho sentito l’ultima volta, mi ha dato scherzosamente del rincoglionito, chiedendomi: Ma ancora giochi?». Zoff, se ne faccia pure una ragione: Lamberto non solo gioca ancora, ma con 1,61 metri detiene pure il primato italiano di salto in alto di atletica categorie master over45, over55 e pre65 e con 11,26 nel salto triplo over65; inoltre nel 2008 ha ottenuto agli Europei di atletica il record mondiale di salto in lungo over60 con 5,47 metri e nel 2014 si è laureato campione del mondo di salto in alto nella categoria over70. Spiega: «Nessun segreto: solo merito della forza di volontà, di una giusta alimentazione, niente fumo, niente alcol». I giovani (ma anche i meno giovani) prendano appunti. 
Tutto bello. Tutto epico. Tutto stoico. Con due paradigmi: «La certezza del calcio, la provi quando batti la Juventus. La certezza della serenità, la provi quando prendi la seconda laurea in medicina davanti agli occhi dei tuoi tre figli». 
Certezze che inebriano. Scatenando adrenalina. Come quando «Bora» soffia forte, prima di spiccare il volo. L’ennesimo. Mai l’ultimo.