Il Messaggero, 5 gennaio 2020
Intervista a Prinsipe, campione di videogame
Giocare con la PlayStation così bene da trasformare un passatempo in lavoro è possibile? Risposta: «Sì, con internet sì. Ma ci vuole dedizione, pazienza e allenamento», spiega Daniele Paolucci, classe 1996, conosciuto online con il nickname Prinsipe. A oggi, è uno dei più forti giocatori al mondo di Fifa, il famoso videogioco di calcio della Electronic Arts. I suoi match sono seguiti online da tutto il globo: nel 2017 ha vinto l’Europeo a Madrid di Fifa 17 (assegno da 30.000 euro), è stato medaglia di bronzo al mondiale successivo, e fra poche settimane disputerà, a Parigi e dal vivo, un’altra finale mondiale, questa volta con Fifa 20.
È stato, inoltre, il primo videogiocatore italiano nella lista dei pro-player dello sponsor Red Bull (insieme al pilota Marquez o il pallavolista Zaytsev, per intenderci), ed è membro di una delle squadre di eSports – ovvero di videogiochi a livello competitivo, non solo sportivi – più importanti di Italia, la Mkers, sponsorizzata tra l’altro da Armani Exchange. Tra stipendio fisso, pubblicità, un nuovo libro di consigli edito da Mondadori e montepremi, dirette streaming dove mostra le sue giocate, Paolucci guadagna migliaia di euro al mese in un mercato, quello degli eSports, che conta un bacino italiano di almeno 1,2 milioni di spettatori settimanali secondo una analisi della scorsa estate di Aesvi. Il suo è uno stipendio tra i più alti rispetto ai cento-duecento videogiocatori professionisti presenti in Italia, ma è ancora basso rispetto al mercato europeo e mondiale, in crescita esplosiva in questi anni, dove aziende e società sportive formano o sponsorizzano un team.
Un’evoluzione fulminea, ma anche storica: ai tempi delle sale giochi ci si sfidava per mettere il proprio nome in cima alla lista dei punteggi. Con l’arrivo delle consolle il gioco è diventato solitario e casalingo. Grazie alla rete la sfida è ritornata collettiva e iper-competitiva. Per citare un’ultima cifra: vincere un mondiale di Fifa dieci anni fa significava ricevere un buono sconto nel negozio di elettronica, tre anni fa valeva 50.000 dollari, oggi per la medaglia d’oro in palio ci sono 250.000 dollari.
Che cosa sta succedendo? Perché gli eSports stanno diventando così importanti?
«La risposta è semplice: perché sempre più pubblico preferisce sintonizzarsi su una partita virtuale che una reale. I bambini e i ragazzini seguono più noi che i calciatori veri. Non si mettono più davanti alla tv, scelgono tutto dagli schermi del loro telefono o pc».
E perché seguono voi?
«Online si seguono due tipi di gamer: quelli che trasmettono le loro partite e le commentano per il pubblico e quelli competitivi che vincono e mostrano le loro abilità».
L’ormai noto Cicciogamer, citato in una trasmissione tv durante una domanda all’ex ministra Fornero, è un gamer diverso da te, quindi?
«Sì. Lui intrattiene. Chi mi segue lo fa perché si chiede Oddio, ma come fa?. Guarda le mie abilità, perché probabilmente a sua volta è un giocatore e vuole imparare a diventare più bravo».
L’industria dei videogiochi a livello mondiale è più grande di cinema e musica messi insieme. Tutti giocano o hanno giocato, ma pochi arrivano ai tuoi livelli. Come si fa?
«Io ho cominciato per caso: ho sempre giocato a Fifa o Pes con il mio amico storico, Valerio. Piano piano ho iniziato a sentirmi forte, a fare tornei a Roma. Con Fifa 15 e l’introduzione di una nuova modalità, la Fifa Ultimate Team, dove si può creare la propria squadra, tutto si è fatto più serio. Si arriva a giocare 30 partite in un weekend, da circa 15 minuti l’una. Se si superano le qualificazioni online, si passa alla fase live in giro per l’Europa. Ora mi alleno anche 2-3 ore al giorno. E per allenamento non intendo giocare come fa la maggior parte della gente, quello lo chiamo cazzeggio. Allenamento è provare calci d’angolo, organizzare sfide con altri giocatori più forti».
Il giocatore di cui non potresti fare a meno nella tua formazione?
«Neymar».
I tuoi genitori non ti han mai detto di spegnere la PlayStation e andare un po’ in giardino?
«Gioco da quando ho quattro anni, con la prima PlayStation, di mio padre. Ma faccio anche tanti sport e palestra. Ho giocato a calcio fino a 17 anni, ero nelle giovanili della Roma. I più giovani devono capire che devono praticare anche sport tradizionali, o comunque fare movimento; ma i loro genitori devono anche sapere che non c’è nulla di grave a passare qualche ora davanti allo schermo. Per dire: i miei genitori sono diventati i miei primi fan, mi seguono e si sono appassionati alle competizioni».
Oltre a loro, qual è il tuo pubblico, statistiche alla mano?
«Mi seguono al 95% maschi, soprattutto nella fascia 15-24 anni. Pochissimi bambini, ma arrivo fino ai quarantenni, perché il gioco è ancora molto seguito anche da loro»
Europei, mondiali, addirittura olimpiadi: siete degli atleti?
«I giocatori di scacchi sono atleti? La cosa bella degli eSports è che sono per tutti: alti, bassi, magri, grassi. Per questo piacciono così tanto. Non c’è distinzione».
Che mondo immagini fra dieci anni, per te e per questo settore?
«A me piacerebbe continuare a lavorare qui: ci sono giocatori di Fifa ora in Germania che hanno più di trent’anni, e poi vorrei fare l’allenatore».
Ci sono anche gli allenatori?
«Certo, ai tornei dal vivo io vado con un allenatore, che studia l’avversario e mi aiuta con la tattica e con un mental coach che mi sostiene nei momenti di stress o bui, perché si arriva a giocare 6-7 ore per un paio di giorni».
E per il settore, quale futuro?
«Sarà sempre più industrializzato, diventerà una cosa gigantesca: le grandi aziende lo stanno capendo e stanno entrando nel mercato. I pro-player saranno più seguiti dei calciatori, ci saranno dei Messi e Ronaldo, e si guadagnerà quasi tanto quanto loro».
In Italia siamo ancora lontani. Perché?
«Il problema principale è la connessione: in questo Paese è troppo debole, ballerina. Le velocità di Francia e Germania sono anche 100 volte superiori. È il nostro grande limite».