la Repubblica, 5 gennaio 2020
C’era una volta la Hopman Cup
Ho assistito una sola volta alla Hopman Cup, così titolata dal nome di Harry Hopman, il grande coach australiano al quale si deve la scoperta dell’allenamento atletico, sulle spiagge da cui nacque una serie di grandi campioni, da Hoad e Rosewall fino a Laver. Perth è stata una città indimenticabile anche per noi appassionati italiani, con un Sirola che batté MacKay in Davis e per me, che avrei dovuto essere il capitano della squadra dei miei due precedenti partner di doppio, ricoverato invece sei mesi all’ospedale per una vaccinazione rivelatasi gravemente infettiva.
La Hopman Cup si era svolta a metà tra la gara e l’esibizione nella prima settimana all’inizio dell’anno ed era una manifestazione fatta di un singolare maschile, uno femminile, e un doppio misto. Adesso è una manifestazione lanciata dall’Atp che si chiama Atp Cup in concorrenza con quella che qualcuno chiama Piqué Cup, che ha sostituito la Davis, un trofeo insostituibile, svenduta all’ex calciatore e soci, una manifestazione che aveva nel nazionalismo la sua radice, in qualche caso negativa.
Ora la Atp Cup ricalca la struttura della nuova Davis, senza averne le ragioni storiche né il fascino. L’altro giorno, nella prima giornata che ha visto una curiosa attuazione di Italia opposta a Russia, ha fatto ammirare il semisconosciuto Travaglia sommerso dal russo Khachanov e un Fognini degno di se stesso a Montecarlo, contro Medvedev, troppo regolare per lui. In panchina Safin, celebre di suo, e per le sue tifose, note come Safinettes, che lo seguirono nei suoi momenti di successo a Melbourne. La Hopman Cup è durata trent’anni. Spero che la Atp Cup ne duri meno e si possa fondere con la ex-Davis.