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 2020  gennaio 05 Domenica calendario

La storia vera che ha ispirato il nuovo romanzo di Grisham

Joe e Mickey Bryan si sentirono per l’ultima volta al telefono lunedì 14 ottobre 1985, poco dopo le nove di sera. Joe chiamò la moglie dalla sua stanza d’albergo di Austin, dove si trovava per partecipare all’annuale conferenza per i presidi delle scuole superiori del Texas. Mickey, 44 anni, era di buon umore, stava correggendo i compiti dei suoi alunni nella loro casa di Clifton, a quasi due ore di macchina da Austin. Joe stava guardando i Country Music Awards alla tv. Parlarono del temporale che era scoppiato quella sera. Joe e Mickey erano sposati da sedici anni. Non avevano figli. Spesso capitava di incontrarli mano nella mano durante una delle loro lunghe passeggiate in città. Dai tabulati telefonici analizzati dalla polizia risulta che la chiamata durò fino alle 21.15. 
Mickey insegnava ai bambini di quarta della scuola elementare di Clifton, 3.442 abitanti. La mattina del 15 ottobre, l’aria ancora umida dopo la pioggia, Mickey era in ritardo. Di solito la sua collega Susan Kleine, docente di quinta, la trovava già seduta alla cattedra alle 7.15. Alle 8, non vedendola arrivare, Susan diede l’allarme al preside, Rex Daniels, che chiamò prima la casa dei Bryan e poi i genitori di Mickey, Otis e Vera Blue. Mickey era stata a casa loro il pomeriggio precedente. Se non fosse stata bene, avrebbe avvisato i superiori. A Clifton non succedeva mai niente di nuovo. 
Daniels fu il primo a precipitarsi dai Bryan, in Avenue O, alla periferia sud della cittadina. Poco dopo arrivarono i genitori di Mickey. La macchina della donna, una Oldsmobile marrone, era parcheggiata dentro il garage aperto. I quotidiani del 15 ottobre, il «Waco Tribune-Herald» e il «Dallas Morning News», giacevano nel vialetto d’ingresso. Entrarono in casa tutti insieme e si separarono. Qualche istante dopo si sentirono le urla di Vera dalla camera da letto: Mickey era distesa sul materasso, in una pozza di sangue. La sua camicia da notte era tirata su fino alla vita. La vestaglia era ancora piegata ai piedi del letto. La sveglia, puntata alle sei, non era stata disattivata. Otto giorni dopo, il 23 ottobre 1985, suo marito Joe Bryan venne arrestato con l’accusa di omicidio. Oggi ha 79 anni ed è in carcere da 34. 

Alla vicenda di Joe Bryan è ispirato il nuovo legal thriller di John Grisham, L’avvocato degli innocenti, uscito da poco per Mondadori. Il protagonista del romanzo è l’avvocato Cullen Post, un prete episcopale deluso dal sistema giudiziario americano. Insieme alla sua associazione no profit Guardian Ministries, Post si occupa di riaprire casi in cui il condannato potrebbe essere innocente. Con tenacia e dedizione, per esempio, Post riesce a fare scagionare Duke Russell, destinato alla pena di morte in Alabama per lo stupro e l’omicidio di Emily Broone, e a fare arrestare il vero colpevole, Mark Carter. 
Il caso al centro del libro è quello dell’ergastolano Quincy Miller, in carcere da oltre vent’anni per l’assassinio di Keith Russo, l’avvocato che aveva seguito la sua causa di divorzio. Russo, 37 anni, venne ucciso il 16 febbraio 1988 nel suo ufficio con due colpi di fucile calibro 12 alla testa. Quincy Miller è «un nero in una cittadina di bianchi» – l’immaginaria Seabrook, undicimila abitanti, sorta in mezzo alle paludi della Florida settentrionale. Miller, 51 anni, avrebbe sparato al suo avvocato perché non era contento di come lo ha assistito. La sua incriminazione serve in realtà a coprire un traffico di droga che ha il benestare dello sceriffo Pfitzner.
Quincy Miller, come Joe Bryan, è stato incastrato dal ritrovamento di una torcia elettrica nel bagagliaio dell’auto. La perizia dell’accusa ha stabilito che le macchioline sulla lente provenivano dal sangue della vittima. L’assassino usò la torcia per farsi luce durante l’omicidio.
L’esperto in tracce ematiche che testimoniò contro Miller è l’ex ispettore della squadra omicidi di Denver, Paul Norwood: «Nel 1987, un anno prima del processo a Quincy, Norwood partecipò a un seminario di ventiquattro ore sull’analisi delle macchie di sangue organizzato da una compagnia privata del Kentucky». La sola preparazione scientifica di Paul Norwood è quel corso. Ha una bella parlantina e riesce a convincere i giurati. I tribunali americani erano pieni di consulenti come lui negli Anni 80, prima dell’avvento del test del Dna. 
I vicini di casa di Joe e Mickey Bryan, interrogati dalla polizia, non notarono alcun movimento sospetto la sera in cui Mickey fu uccisa. Non vennero ritrovate impronte digitali sospette – a parte quella del palmo di una mano sulla testiera del letto, di cui non fu mai chiarita l’appartenenza – e non c’erano orme insanguinate, un dettaglio che Grisham ha inserito anche nel romanzo. 
Mickey venne uccisa con quattro colpi d’arma da fuoco: uno all’addome e tre alla testa. Non c’erano segni di abuso sessuale né indizi che facevano pensare all’intrusione di ladri. I Bryan possedevano una pistola calibro 375, sparita dopo il delitto. Erano scomparsi anche i mille dollari che la coppia teneva in una scatola di metallo in camera. Joe disse alla polizia di averli ritrovati in macchina, una Mercury nera, qualche giorno dopo il delitto e che si era scordato di averli messi lì. Il caso fu affidato al Texas Ranger Joe Wilie, conosciuto per la poca pazienza.
Per Clifton era il secondo omicidio in poco tempo: quattro mesi prima era stato ritrovato, in un boschetto di cedri, il corpo della diciassettenne Judy Whitley, stuprata e strangolata, la bocca coperta da nastro adesivo. La paura di un serial killer spinse gli inquirenti ad affrettare le indagini. Quando il fratello di Mickey, Charlie Blue, ritrovò la torcia nel bagagliaio di Joe Bryan, che gli aveva prestato l’auto per qualche giorno, avvisò subito il ranger Wilie. Le analisi di laboratorio certificarono la presenza sulla lente di sangue umano di tipo 0, come quello di Mickey ma anche di quasi metà della popolazione americana. Come nel romanzo di Grisham, anche la condanna di Joe Bryan passò dalla perizia di un detective, Robert Thorman. Thorman seguì, quattro mesi prima dell’omicidio, un corso di 40 ore sull’analisi delle tracce ematiche e venne chiamato a testimoniare come esperto. Fu lui a stabilire, nel processo di otto giorni cominciato nel marzo 1986 a Meridian, Texas, che la torcia era stata usata sul luogo del delitto e il sangue schizzato in seguito ai colpi sparati dall’assassino. Per l’accusa, capitanata dal procuratore distrettuale Andy McMullen e dal pubblico ministero Gary Lewellen, era la prova che Joe Bryan aveva ucciso la moglie. Joe avrebbe guidato da Austin a Clifton nella notte tra il 14 e il 15 ottobre per uccidere Mickey. Poi sarebbe tornato nel suo albergo a due ore di macchina.

Joe venne condannato a 99 anni di carcere nel penitenziario di Huntsville. L’esperto Robert Thorman, come il Paul Norwood del romanzo di Grisham, arrivò alla sua conclusione senza analizzare la torcia in quanto prova fisica ma solo attraverso fotografie ingrandite del corpo del reato. Tra le prove che non vennero prese in considerazione, e che avrebbero potuto aprire nuove piste nelle indagini, c’è il mozzicone di sigaretta ritrovato dalla polizia nella cucina dei Bryan. Né Joe né Mickey fumavano. Il Texas Ranger Joe Wilie disse di averlo portato dentro casa dalla strada dopo che si era attaccato alla suola delle sue scarpe. 
Il colpo di scena sarebbe arrivato nei primi anni Novanta. Leon Smith, direttore del «Clifton Record», decise di tornare sul caso e scoprì, dagli interrogatori ufficiali, che il sospettato più accreditato per l’omicidio della diciassettenne Judy Whitley era un poliziotto di Clifton, Dennis Dunlap, che diede le dimissioni subito dopo il ritrovamento del corpo. Secondo una delle sue ex mogli si vantò anche di avere una relazione con Mickey Bryan e di essere stato con lei la sera del delitto. Il suo ruolo nell’omicidio non potè mai essere verificato: Dunlap si impiccò il 12 aprile 1996 nel garage della sua casa di Rosenberg, Texas. 
Dal 2007 Joe ha diritto alla libertà vigilata, che gli è stata negata già sette volte, nonostante i gravi problemi di insufficienza cardiaca. Oggi è rappresentato da Walter Reaves e Jessica Freud, che continuano a battersi per riaprire il caso. La battaglia di Joe Bryan non è ancora finita.