Corriere della Sera, 5 gennaio 2020
Il dizionario della neve
Copiose, splendenti, magiche, le nevi dell’infanzia sembrano irripetibili. In tutti noi si conserva il ricordo di lontani risvegli mattutini, in cui i rumori si percepivano stranamente ovattati. La neve sembra tutta uguale ma in realtà è materia sfuggente, mutevole, che cambia già mentre scende dal cielo. Franco Brevini, docente di Letteratura italiana all’Università di Bergamo ed esperto alpinista, a questo elemento affascinante ha dedicato un libro («Il libro della neve», ed. Il Mulino) raccontando la bianca signora in tutte le sue declinazioni: dal simbolo del Natale in famiglia a teatro di straordinarie esperienze, come le imprese degli esploratori polari ma anche di sanguinose guerre, da Annibale a Napoleone, fino alla nostra «Guerra Bianca».
La si ritrova nei grandi scrittori, ma anche nella storia della pittura con i vellutati paesaggi degli impressionisti e le raffinate stampe giapponesi. La neve ha prestato il suo candore alle donne cantate dai poeti e al cinema è un infallibile dispositivo classico del thriller. «È un libro che è nato in biblioteca ma anche nei 50 anni trascorsi tra i paesaggi nevosi del nostro Pianeta» racconta l’autore che, con una descrizione avvincente dedica due pagine anche al suo personale incontro con il «gelido alito» di una valanga, schivata per un soffio.
Nella storia la neve è sempre stata vista come portatrice di fame e freddo nei popoli, mentre oggi è compagna di avventure sportive invernali. Lo sci arriva come sport sulle Alpi solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando la borghesia trova nel paesaggio montano un modo divertente per trascorrere il tempo libero. Eppure sembra che lo sci sia più antico della ruota e lo dimostrano una serie di incisioni rupestri ritrovate in Russia e in Scandinavia: gli sci preistorici più antichi provengono dalla Svezia, sono alti più di due metri e hanno 5.200 anni.
Il libro, accompagnato da un’iconografia di altissimo pregio che negli anni Brevini ha raccolto nel suo girovagare tra biblioteche e musei, è un tesoro di curiosità. La lingua «scots», parlata in Scozia, dispone di 421 parole diverse per dire neve ma anche i dialetti italiani hanno decine di sinonimi che ne definiscono la caratteristica: compatta, farinosa, dura, soffice. Il primo a fotografare un fiocco di neve nel 1880 è stato un ragazzino del Vermont che ricevette in dono un microscopio. Quasi tre secoli prima Keplero pubblicò un opuscolo in latino dedicato alla neve. È lo stesso scienziato che ricorda il giorno in cui notò, mentre attraversava il ponte Carlo a Praga, la forma esagonale di un fiocco di neve caduto sul suo cappotto, che confermava la ricorsività delle strutture regolari in natura. Scrivendo il suo trattato non poteva sapere che fin dal 135 a.C. i cinesi avevano anticipato la sua scoperta sulla forma dei cristalli.
Agli animali delle nevi è dedicato un capitolo: renne, orsi polari, leopardi delle nevi ma il posto d’onore è per lo yeti con l’incertezza sulla sua natura, gli avvistamenti, la caccia all’animale leggendario. La mancanza di qualsiasi reperto osseo e analisi genetica ha dato però il colpo letale alla leggenda.
La neve la troviamo nelle opposte lontananze dell’alto e del basso: sulle cime innevate dell’Himalaya ma anche seguendo Dante nel centro della Terra perché Lucifero è raffigurato infisso nel ghiaccio. «Ma la ritroviamo anche nelle distanze temporali: secondo la teoria di alcuni scienziati sappiamo che la Terra fu una palla di neve, Snowball Earth è l’espressione usata – spiega l’autore —. Questa situazione di ghiaccio tornerà nel destino finale della Terra e avremo allora, stando alla seconda legge della termodinamica, un raffreddamento, quello che è chiamato morte termica dell’Universo, quando l’esaurirsi della spinta del Big Bang trasformerà l’Universo in una sorta di gigantesco Big Freezer. È una visione apocalittica che mi ha molto suggestionato».