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 2020  gennaio 05 Domenica calendario

Le mosse possibili di Hezbollah

Non ci vuole molto a capire che il Libano è ormai più simile a una provincia dell’Iran che a uno Stato indipendente. All’uscita dall’aeroporto internazionale di Beirut, c’è la gigantografia del generale Soleimani e quella della barba bianca di Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran, come se fuori Fiumicino ci fosse il ciuffo color pannocchia di Trump. Ieri, la cittadella dell’ambasciata iraniana a Beirut ha aperto i suoi infiniti check-point per permettere la firma sul libro delle condoglianze dedicato al generale Qassem Soleimani. La processione è stata commossa e alquanto imbarazzante per la sovranità nazionale: nell’elenco c’è più della metà del Parlamento libanese. Sul confine sud, ad Hasbayya nella zona cuscinetto controllata dai caschi blu Onu, è stata portata un’altra immagine del generale diventato martire. Lì tra la neve, dove nessuno potrebbe camminare, lo sguardo obliquo dell’«eroe» iraniano sfida lo Stato ebraico, promette vendetta per il raid Usa che l’ha ucciso. A portarlo a termine potrebbero essere proprio le milizie sciite filoiraniane di Hezbollah, il più potente alleato di Teheran nella regione, figlio dell’ideologia rivoluzionaria dell’Imam Khomeini e principale attore politico, militare ed economico del Libano. 
Secondo l’intelligence americana, Hezbollah ha tra i 100 e i 150mila missili in grado di colpire Israele e, nonostante le perdite subite nella guerra contro l’Isis in Siria, 15mila combattenti. Ma soprattutto è uno Stato nello Stato. La guerra del 2006 con Israele ha permesso il salto di qualità. Da una parte ha regalato al movimento sciita l’enorme prestigio di aver respinto, unici nel mondo arabo, la strapotente macchina bellica israeliana. Dall’altra, la ricostruzione post-bellica gli ha regalato il controllo dell’economia libanese. 
È cominciato con l’esenzione dalle tasse d’importazione, ha finito per controllare il porto di Beirut, l’aeroporto, tutte le frontiere. I doganieri nazionali stanno ancora cercando il visto d’ingresso o di uscita di Soleimani per il suo ultimo volo da Beirut verso Bagdad. I miliziani di Hezbollah l’hanno fatto passare senza che nessuno, ufficialmente, ne sapesse nulla. Hezbollah possiede centrali elettriche, scuole, ospedali, controlla commerci, imprese. A settembre il movimento sciita ha perso i suoi conti correnti in dollari a causa delle sanzioni americane contro l’Iran. A caccia di valuta pregiata, Hezbollah ha mobilitato i cambiavalute. Pagano 2mila lire libanesi per ogni dollaro mentre il cambio ufficiale è di 1.515. È stata la spallata a un’economia con il 150% di debito sul Pil, un export che vale 2 miliardi a fronte di un insostenibile import da 20. La gente si è precipitata a ritirare dollari dalle altre banche per sfruttare il cambio favorevole e il sistema è crollato. Da allora i prelievi sono limitati a 100 o 300 dollari la settimana e l’intero corpo della polizia nazionale è mobilitato per proteggere le filiali dai clienti imbufaliti.
Domani il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, parlerà ai suoi seguaci. Lo farà come al solito da un megaschermo per proteggersi da raid in stile Soleimani. I due erano amici e per ore è circolato un video che mostrava Nasrallah piangere la morte del generale. Erano immagini vecchie, ma molti ci hanno creduto. «Se il Libano venisse coinvolto in una guerra sarebbe il disastro definitivo», dice Ali Mourad, professore di Legge all’Università di Beirut e uno dei volti più noti delle proteste di piazza che da ottobre hanno portato alle dimissioni del primo ministro Saad Hariri. Nella Piazza dei Martiri, il pugno bianco con la scritta «thawra» (rivoluzione) fa ombra a poche tende ormai. Hariri si è ritirato perché sa che i suoi protettori sauditi non vogliono sostenere un Paese controllato dai nemici iraniani. Il professor Amal e gli altri «rivoluzionari» vorrebbero che il Libano restasse fuori dalle logiche settarie, dalle rivalità regionali e internazionali. «Nessuno si illude però – ammette – di fermare a parole un conflitto tra Washington e Teheran».