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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Versamenti, un grillino su due è fuori regola

Ascorrere l’elenco, viene in mente Totò: tirendiconto.it è ‘a livella del Movimento Cinque Stelle. E ieri mattina alle 11:30 quando negli uffici milanesi si è chiusa la lista nera dei morosi, dentro c’è finito di tutto. Acunzo Nicola e Bonafede Alfonso, Cappellani Santi e Fico Roberto, Di Marzio Luigi e Taverna Paola. Tutti indistintamente nel calderone degli “inadempienti” che ieri hanno ricevuto l’email di mancato rispetto della scadenza di fine anno. Ministri e parlamentari semplici, presidenti della Camera e sconosciuti senatori, facilitatori e dissidenti.
Centosettanta nomi su 316 eletti: più della metà è fuori regola. Certo, ci sono differenze di rilievo, perché non tutti hanno preso sul serio la tagliola imposta il 31 dicembre scorso: bisognava rendicontare almeno fino al mese di ottobre, pena il deferimento senza appello ai probiviri. Così, c’è chi si è affrettato a recuperare il tempo perduto e ha coperto almeno una parte del debito. Nel lungo elenco, per dire, ci sono molti a cui mancano solo un mese o due (è il caso di Bonafede, Fico e Taverna) e altri che hanno già avvertito di avere problemi “tecnici”, appellandosi al fatto che il meccanismo delle rendicontazioni sia piuttosto farraginoso.
Ma c’è uno zoccolo duro di inadempienti che non si è fatto intimorire dalle minacce del capo politico. Una quindicina di deputati (tra cui i sopracitati Acunzo e Cappellani) non hanno mai restituito nel 2019. E lo stesso vale per 5 senatori (oltre a Di Marzo, anche Anastasi, Ciampolillo, Di Micco e Giarrusso) a cui se ne aggiungono altri 9 che hanno smesso di farlo prima di quest’estate. Secondo quanto disposto da Di Maio, dovrebbero essere di fatto già tutti cacciati (ci sarà tolleranza solo per chi è in ritardo di un paio di mesi). E a Palazzo Madama non è certo una notizia rassicurante per la tenuta del governo giallorosa.
La lista nera, d’altronde, arriva nel giorno in cui altri due deputati annunciano l’addio al gruppo M5S. Una diaspora che è iniziata a dicembre col passaggio di tre senatori alla Lega ed è proseguita a Natale con le dimissioni del ministro Fioramonti. E che rischia, seppur per ragioni opposte, di essere accelerata dall’espulsione di Gianluigi Paragone, decretata a Capodanno. Ieri a salutare sono stati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi: avevano già bocciato la legge di Bilancio, ora se ne vanno al Misto indignati dalla “oligarchia” che governa il Movimento. Entrambi, va detto, non erano in cattivi rapporti con Di Maio, nonostante da qualche mese ormai manifestassero dissenso rispetto alla linea ufficiale del gruppo.
Angiola, tarantino, ordinario di Economia aziendale, era stato tra i più strenui sostenitori dell’accordo con Mittal e per questo si è scontrato con i colleghi pugliesi, a cominciare da Barbara Lezzi. Rospi, ingegnere di Matera, era invece stato messo in contatto dallo stesso Di Maio con il ministro della Salute Roberto Speranza, per occuparsi di alcune questioni relative alla Basilicata.
Il tema, però, ormai non è nemmeno più la distanza con il capo politico. Piuttosto lo sfilacciamento complessivo di un gruppo che continua a perdere pezzi, l’irritazione generalizzata verso Davide Casaleggio (che il post sui “10 punti” pubblicato l’altro giorno non ha fatto che aumentare) e pure un certo fastidio per chi “da fuori” – tradotto, Alessandro Di Battista – spara sul Movimento già acciaccato. Mercoledì, alla ripresa dei lavori del Parlamento, i deputati si ritroveranno in assemblea per contribuire alla stesura del “cronoprogramma” con cui Palazzo Chigi ha intenzione di rilanciare l’azione di governo. Sempre che la cacciata dei morosi non diventi l’unico argomento all’ordine del giorno.