Libero, 4 gennaio 2020
Addio al Maggiolino
Dal Terzo Reich agli hippie, dai seguaci di Herbie ai figli di papà un po’ snob. Nata come “volkswagen”- “auto del popolo” in Germania e uscita di scena come “carro del pueblo” in Messico: il miracolo della globalizzazione. La storia del Maggiolino, che termina nel 2019 con l’arresto della produzione nello stabilimento di Puebla, attraversa il Novecento: un fenomeno industriale e sociale prima ancora che un’automobile, con un design e uno spirito capace di varcare i confini di tutto il mondo. Sarà praticamente impossibile superare i record di questo modello prodotto in più di 23 milioni di esemplari, di cui circa 21 milioni e mezzo nella versione “classica” prima dell’arrivo nel 1998 della sua reinterpretazione in chiave moderna, il New Beetle. Dalle prime 1200, alle cabriolet con il motore potenziato (che in Italia divenne il Maggiolone), alle 1600 a tre volumi, il Maggiolino continua a strappare un sorriso ovunque lo si incontri, nelle sue tante personalizzazioni, umanizzato sul grande schermo, parte della nostra quotidianità, uno di quegli oggetti “amici” a cui dare un soprannome per sentirli più vicini: “Beetle” nel Regno Unito, “Käfer” in Germania, “Escarabajo” in Spagna, “Coccinelle” in Francia. Senza dimenticare che il primo nome scelto da Adolf Hitler era KDF Wagen, dalle iniziali della Kraft-Durch-Freude, la Forza Attraverso la Gioia organizzazione assistenziale del Terzo Reich che organizzava le vacanze per i lavoratori. «Auto della Forza Attraverso La Gioia»: un nome che sembra quasi una profezia di successo e longevità per una storia iniziata nel 1934 con l’annuncio del Führer di una vettura non più privilegio esclusivo della classe benestante ma democratica, un po’ come era stato per la Ford T con cui Henry Ford aveva motorizzato l’America; un’auto che potesse trasportare 5 persone – o tre soldati e un mitragliatore – ad un prezzo non superiore ai 1000 Reichsmark. L’incarico di realizzarla venne affidato a Ferdinand Porsche, e per costruire la fabbrica vennero espropriate le terre del conte Von Schulenberg in Bassa Sassonia nei pressi del castello di Wolfsburg. Nel 1939 la nuova utilitaria debutta al Salone di Berlino, tecnologicamente avanzata, con motore posteriore boxer quattro cilindri raffreddato ad aria, trazione posteriore e telaio con sospensioni a ruote indipendenti, ma la Seconda Guerra Mondiale blocca l’inizio della produzione. La base tecnica viene utilizzata per i mezzi bellici leggeri della Wehrmacht capaci di plasmarsi ad ogni situazione. La crisi del dopoguerra viene superata grazie all’intuizione del giovane ufficiale britannico Ivan Hirst, a capo dello stabilimento di Wolfsburg per conto dell’amministrazione militare di Sua Maestà, che convince gli inglesi a non demolirlo. Gli anni successivi sono determinanti e sotto la guida del nuovo direttore Heinz Nordhoff la produzione riprende: dalle poche centinaia di auto prodotte nel ’46 si passa alle 19.000 nel 1948 e alle 46.000 nel 1949. Negli anni cinquanta il Maggiolino conquista gran parte d’Europa e gli Stati Uniti con il milionesimo esemplare che esce dalla catena di montaggio nel 1955, color oro metallizzato, sedili in broccato e perline di vetro sulle cromature. Che poi, per fare chiarezza sul nome, soltanto nel 1968 l’auto fu definita ufficialmente in una brochure pubblicitaria “Der Käfer”, che in tedesco significa coleottero; nessuno prima in una azienda tedesca avrebbe mai pensato di paragonare il proprio prodotto a un insetto, e per anni la vettura uscì dalla fabbrica con la denominazione “Typ 1”. Il Maggiolino era riuscito a scardinare anche i canoni di pensiero dell’austera industria dell’auto a tal punto che nel 1959 per il lancio sul mercato americano fatto di auto enormi, pinne e cromature, l’agenzia DDB di New York propone l’indimenticabile campagna pubblicitaria con una foto minuscola del Maggiolino all’interno di una pagina bianca e lo slogan Think Small, “Pensa in piccolo”. Una Maggiolino-mania dilaga in tutti i continenti, e Volkswagen apre filiali in Brasile, Messico e Sud Africa. Il boom è negli anni Sessanta con gli Stati Uniti che diventano il più importante mercato straniero e il record degli oltre 560 mila esemplari venduti nel 1968, il 40 per cento della produzione totale. Anticonformista e divertente, il Maggiolino si trasforma in simbolo della cultura hippie, fotografato negli ingorghi di Woodstock, ma allo stesso tempo amato dai più piccoli dopo il debutto di Herbie al cinema in The Love Bug – Un Maggiolino tutto matto – prodotto dalla Disney. Nonostante le migliorie introdotte negli anni, spesso in anticipo sui tempi, come il tettuccio apribile in PVC idrorepellente, i pneumatici tubeless, e la verniciatura acrilica, negli anni settanta le vendite iniziano a calare, finchè nel 1978 la produzione europea cessa per far posto alla Golf e continuare in Messico. E se la brutta notizia è che ora anche a Puebla è calato il sipario per il “vochito” (come era soprannominato) e la casa automobilistica tedesca saluta il suo modello dopo 80 anni di storia sulle note di una cover di “Let it Be” dei Beatles, quella buona è che difficilmente il Maggiolino in tutte le sue declinazioni sparirà dalle nostre strade, con centinaia di migliaia di esemplari ancora circolanti, determinati a rimanere tutt’altro che l’oggetto di nostalgici amarcord.