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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Così nacque Tutto il calcio minuto per minuto

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Transistor? Che cosa è mai un transistor? Radiolina? Che cosa significa radiolina? A te la linea. A te, chi? E che cosa è la linea? Tutto il calcio minuto per minuto, ecco la risposta, sessant’anni di vita vissuta accanto a quel transistor, a quella radiolina, voci, cronache, interruzioni, gol, parate, narrate quando la fantasia correva a immaginare lo stadio e poi il dribbling e quindi il tiro a rete, la parata, il rigore sbagliato. 
L’idea fu dei francesi con la loro Sport et Musique creata da Alex Virot, nel febbraio del Quarantacinque. La trasmissione durava tre ore, dalle tre alle sei del pomeriggio, alternando musica e risultati delle partite di rugby, dai vari campi. Il ritmo, dei cronisti inviati, piacque e convinse Guglielmo Moretti, giornalista che sapeva di radio e di comunicazione. La Rai stava preparando l’Olimpiade di Roma, dunque l’organizzazione delle radiocronache di quasi tutte le discipline. Serviva un test di prova per i collegamenti in contemporanea. Si decise la data del dieci gennaio, ore quindici e quindici, quattordicesima giornata di campionato, divisione nazionale serie A. Il debutto fu affidato alla voce esclusiva di Nicolò Carosio (nella foto), da San Siro, per Milan-Juventus. Enrico Ameri venne inviato al Comunale di Bologna, per Bologna-Napoli, ad Andrea Boscione toccò Alessandria-Padova. Tutti gli altri risultati vennero annunciati, dallo studio del centro di produzione di Milano, da Roberto Bortoluzzi. Per ognuno degli inviati, cinque minuti di radiocronaca, intervallati da Bortoluzzi che, trafelato, correva lungo il corridoio, slittando sul linoleum incerato, per raggiungere i telefoni neri e ricevere le notizie dagli altri campi, quindi raccoglieva e ragguagliava i tabellini, chiuso in un monolocale, che dico? Un loculo, illuminato da un improbabile abat-jour, reperto dell’Eiar. 
Ai contemporanei, cronisti, allenatori e calciatori, suggerisco la visione del filmato, su youtube, di quel Milan-Juventus, giocata su un prato biancastro di neve ghiacciata e segatura, senza nessun lamento, prima, durante e dopo ma con piena battaglia di tacchetti e spintoni, tra figure traballanti. Vinse la Juventus con i gol di Stacchini e Cervato. Il Bologna travolse il Napoli 4 a 1 con doppietta di Pascutti, gol di Campana, autogol di Beltrandi e unica rete napoletana di Di Giacomo. Pareggiò l’Alessandria, penultima in classifica, poi retrocessa, nonostante la presenza di Rivera. Incominciava, quel giorno, la partita più lunga della radio, un appuntamento doveroso, puntuale ad ogni domenica, l’attesa del risultato, perché la cronaca partiva dal secondo tempo e l’annuncio apriva sogni o chiudeva pronostici sulla schedina del totocalcio, tenuta tra le dita delle mani tremanti, come una reliquia, uno-due-ics, alla ricerca del tredici milionario; caffè, ritrovi, case, campeggi, radiogrammofoni e radioline portatili, cambiavano i risultati, nei bar il tabellone verde e bianco del Totocalcio veniva aggiornato, già nel primo tempo, con le telefonate al centro di Roma, nel tinello di casa la Stock di Trieste era l’aperitivo che apriva la festa alle voci da Milano, Torino, Napoli, Bari. Scusa Ameri, a te Ciotti, prego Luzzi, un passaggio di consegne, una staffetta di emozioni, un nuovo vocabolario della lingua calcistica, quasi rete, ventilazione inapprezzabile, batti e ribatti, traversone, risultato a occhiali, giacchette nere, tiratori scelti, clamoroso al Cibali, tra leggenda e storia vera, la partita di pallone diventava un romanzo; al lunedì, a scuola, negli uffici, in fabbrica, si ripetevano slogan e frasi di repertorio. Tutto il calcio continuava giorno per giorno, durante la settimana, fino alla domenica successiva. Venne la pubblicità, venne la diretta dell’intera partita, vennero tutti gli incontri raccontati minuto per minuto. La televisione cercava di soffiare pubblico e tifosi ma la radio conservava la sua magia e, insieme, la sua comodità, in auto, sui prati dei pic nic, al cinematografo, a volume alto o con l’auricolare, negli ospedali o nei caselli autostradali, nelle stazioni ferroviarie, voci nel silenzio attorno, disegni acrobatici e di fantasia, a volo, tuffi, colpi di testa, calci di rigore. 
L’immagine avrebbe poi cancellato la nostra Disneyland pallonara, la televisione avrebbe messo da parte i pionieri di corso Sempione ma alla radio e a Guglielmo Moretti, dovrebbero porgere ringraziamenti eterni i contemporanei bordocampisti se sapessero che proprio Moretti, insieme con Claudio Ferretti, inventò la formula del doppio inviato in campo, per le partite della nazionale azzurra, con la radiocronaca di Enrico Ameri e il commento di Sandro Ciotti. Eccellenze giornalistiche, Provenzali, Pasini, Carapezzi, Boscione, Foglianese, Gismondi, Russo, Viola, Pancani, Moretti, Gentili, per arrivare a Cucchi e Corsini e Repice, voci senza volto ma con anima e corpo e scuola, prima dell’invasione delle zanzare moleste, degli urlatori niente affatto melodici, portatori insani di un linguaggio sedicente cerebrale, in fondo ridicolo, inutile, effimero. Tutto il calcio mai è stato questo, pur potendo inventare, mai ha spacciato realtà fantasiose, ha radunato giovani e anziani, donne, madri e mogli e fidanzate, costrette a sopportare un calcio d’angolo gracchiato da Ciotti docente di una lingua italiana magistrale, una rete annunciata da Ameri, un centesimo di secondo prima che il pallone superasse la linea bianca, il «quasi gol» di Nicolò Carosio con la stentorea voce da Istituto Luce o l’enfasi di Luzzi, per una semplice rimessa dal fondo. 
Non semplice o furba nostalgia di un tempo volato in fretta ma il rispetto per sessant’anni lunghi e, insieme, veloci, una fetta grande della nostra storia, una vita in ascolto, con gli occhi chiusi e il cuore in tumulto, la radio compagna e complice, di viaggi e di sogni, siciliani e valdostani, veneti e pugliesi, uniti, riuniti nello stesso momento, per lo stesso avvenimento, con bandiere diverse, nell’attesa di una interruzione, improvvisa, decisiva, gol. Resistiamo, come i soldati giapponesi, seguendo a volte le immagini trasmesse dal televisore ma ascoltando, ugualmente, la radiocronaca di chi sa raccontare meglio la favola di sempre e da sempre, da quella domenica, dieci gennaio del millenovecentosessanta, anno di Roma Olimpica. E di un’idea provata da un gruppo di amici e di pionieri, al civico 27, di corso Sempione, Milano. La radio è sempre accesa. A voi la linea.