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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Quarant’anni di rapporti tra Usa e Iran

Per capire le radici dell’avversione radicale e ideologica tra Stati e Iran, bisogna ricordare i tempi in cui l’Iran era uno regno assoluto ma filoccidentale in cui le ragazze giravano con le minigonne, l’economia tirava e lo Scià (titolo che come Zar e Kaiser deriva da Cesare) Reza Pahlavi era popolarissimo: bell’uomo, crudele e modernista le sue foto campeggiavano sui rotocalchi insieme a quelle della sua triste moglie Soraya, ripudiata a malincuore perché sterile.
La guerra fredda era una vera guerra e la Persia era un pezzo della scacchiera occidentale, che faceva da contrappeso all’Iraq, pedina dell’impero sovietico. Nel 1953, del resto, la Cia aveva ordito un complotto per uccidere il presidente Mossadeq. Ma chi favorì la caduta dello Scià e la vittoria della rivoluzione integralista islamica fu la Francia che ospitò come un esule di massimo riguardo l’ayatollah Khomeini, un uomo secondo cui la laicità è «opera di Satana» e, quanto agli ebrei, «che Iddio li sprofondi». 
Khomeini era negli anni Settanta e poi Ottanta una sorta di Che Guevara dell’antiamericanismo islamico e per questo adorato dalla gauche francese e non solo francese. Fu una grande operazione mediatica di sinistra quella che portò Khomeini in trionfo da Parigi a Teheran dove instaurò una dittatura religiosa medioevale, antimodernista che riportò le donne all’obbligo dello chador, facendo della frusta e della forca gli strumenti di governo. Stabilì a nove anni l’età delle bambine stuprabili attraverso matrimoni combinati. Concesse una famosa intervista ad Oriana Fallaci che si strappò il velo che le era stato imposto per il colloquio, sicché l’ayatollah se ne andò furioso. Khomeini decretò con una fatwa (sentenza religiosa con valore civile) la pena di morte (per fortuna mai eseguita) contro lo scrittore inglese di origine indiana Salman Rushdie, autore dei celebri «Versetti satanici». Il primo atto della guerra con gli Stati Uniti fu la cosiddetta «crisi degli ostaggi». Le guardie rivoluzionarie pasdaran, violando l’immunità diplomatica invasero l’ambasciata americana di Teheran catturandone tutto il personale che diventò ostaggio del regime, fra manifestazioni violente e minacce. 
Il debole presidente americano Jimmy Carter, un pacifista riluttante ad una reazione forte, autorizzò in extremis un’operazione militare che fallì per una catena di incidenti. Fu uno smacco totale e i pasdaran trionfarono applauditi da tutto il mondo antiamericano che vide in quell’azione vile, l’umiliazione dell’Occidente. Fu allora, quaranta anni fa e non oggi, che l’Iran instaurò lo stato di guerra con gli Stati Uniti, una guerra che è proseguita negli anni con diverse sfumature fra presidenti desiderosi di metter fine al regime di Teheran e quelli che, come il democratico Barak Obama, imposero una soluzione con cui tentare di bloccare il programma di armamento nucleare iraniano. Il programma aveva il dichiarato scopo di far scomparire lo Stato di Israele dalla faccia della Terra: le trattative sull’arricchimento dell’uranio portarono all’accordo fra Unione Europea e Usa con la repubblica islamica, ma l’accordo fu sempre considerato un cedimento dai repubblicani americani. Trump, non appena eletto, ha subito chiamato fuori gli Usa dall’accordo e cercato lo show down, la resa dei conti di queste ore. 
Gli uomini del Pentagono hanno una loro idea sull’esito di questo scontro che potrebbe portare, dopo una prima ondata di sussulti, a un ridimensionamento dell’Iran, come alternativa alla guerra. La voglia di escalation tuttavia era evidente anche nelle ultime azioni iraniane, fra cui l’attacco nel Golfo a due petroliere, una giapponese e una norvegese nello scorso giugno. Pochi ricordano che sia l’Inghilterra che gli Stati Uniti hanno storicamente sempre seguito una dottrina di politica internazionale che considera un casus belli qualsiasi minaccia alla libera navigazione e del trasporto di energia. Henry Kissinger in una intervista di due anni fa disse apertamente che qualsiasi amministrazione repubblicana avrebbe dovuto affrontare l’Iran, primo fornitore energetico della Cina, altro Paese in latente rotta di collisione con gli Stati Uniti.