ItaliaOggi, 4 gennaio 2020
Orsi & Tori
Quand’è che la banca fa davvero la banca, cioè, come diceva Guido Carli, assolve alla funzione non solo economica ma anche sociale? Sicuramente quando fa arrivare il denaro dei risparmiatori là dove può produrre lavoro e quindi ricchezza. Ma non solo. La banca fa davvero la banca quando aiuta le aziende a espandersi o a salvarsi da una crisi, e non quando si mette semplicemente a posto con le regole, spesso assurde, del Meccanismo unificato di vigilanza, creato all’interno della Bce, ma autonomo.Se il suo principale obiettivo è quello di non avere grane con la Vigilanza, la banca finisce per fare sempre meno la banca. Sono cioè sempre più rari i casi in cui i banchieri rimangono banchieri e non diventano bancari, in buona misura per le regole insensate della Vigilanza.
Poco prima di Natale è successo una sorta di Miracolo a Milano. E l’aspetto più clamoroso è che i banchieri sono riusciti a fare anche gli imprenditori, mentre l’imprenditore aveva dichiarato forfait.
Si tratta del caso Sorgenia, la società per la produzione dell’energia elettrica che la famiglia De Benedetti aveva deciso di abbandonare al suo destino con un fardello di oltre 1,5 miliardi di debiti verso le principali banche italiane. La mattina del forfait dei De Benedetti, non solo dei figli ma anche del vecchio leone ingegner Carlo, gli amministratori delegati delle banche creditrici si videro recapitare l’invito a incontrarsi; un invito partito, come impone il rango di prima banca italiana, da Banca Intesa, e quindi dall’amministratore delegato Carlo Messina, assieme a Gaetano Miccichè, allora ad di Banca Imi e capo del corporate banking di Intesa Sanpaolo. Fu un incontro informale con la costituzione ancora più informale di una sorta di comitato per la salvezza di Sorgenia. Il primo incontro si svolse presso la sede milanese di Mps, la banca più esposta con Sorgenia (600 milioni). Parteciparono, quindi, lo stesso ad di Mps, Fabrizio Viola, Pier Francesco Saviotti per Banco Popolare, Giuseppe Castagna per Bpm, ora fuse in Banco Bpm, Federico Ghizzoni per Unicredit e Victor Massiah per Ubi. Di fronte alla fuga dei De Benedetti, fu deciso che non aveva senso far saltare una società innovativa nel campo dell’energia e per questo si decise di ricercare un nuovo amministratore delegato attraverso la cacciatrice di teste Maurizia Villa. L’incarico di incontrare i candidati fu affidato a Miccichè e Saviotti, che fecero le interviste nella vecchia sede della Comit, di cui Saviotti era stato ad e dove ora c’era l’ufficio di Miccichè. Con l’accordo generale fu scelti come amministratore delegato Gianfilippo Mancini, laurea alla Columbia University, e Chicco Testa, già presidente dell’Enel, noto anche come tombeur de femmes ma sicuramente competente nel settore, come presidente. Nota a margine, Mancini dal 1992 al 1997 aveva lavorato in Olivetti, cioè negli ultimi anni in cui a capo dell’azienda di Ivrea c’era Carlo De Benedetti, che lasciò un anno dopo di Mancini.
In meno di cinque anni (la nomina di Mancini e Testa è del marzo 2015) la società è arrivata a circa 2 miliardi di fatturato, con utile significativo al punto che da qualche tempo era iniziata la gara per aggiudicarsela. Alla fine, il 24 dicembre, è stata venduta dalle banche al fondo F2i associato con gli spagnoli di Asterion.
Con la vendita di Nuova holding Sorgenia, le banche hanno recuperato tutti i crediti che aveva concesso specialmente ai tempi dei De Benedetti e anche i 450 milioni di capitale di cui erano diventati titolari.
Un’operazione da manuale e da banche che fanno le banche e banchieri che non fanno i bancari.
Una tale operazione è stata possibile proprio grazie a Guido Carli, che quando fu ministro del Tesoro modificò la legge bancaria del ’36 che impediva alle banche di prendere partecipazioni in società industriali e commerciali.
Carli aveva ragionato così: quale sarà il modello di banca che prevarrà in Europa? La Banca universale, cioè il modello storico della Germania, dove gli istituti di credito possono aver partecipazioni. Una mossa coerente con una visione europeista ma che ora mal si addice alle regole insulse imposte dal Meccanismo unificato di vigilanza.
Tuttavia, le banche italiane sono state e sono molto più sagge di quelle tedesche e da quando Carli ha reso possibile anche in Italia la Banca universale, hanno usato lo strumento della partecipazione azionaria con parsimonia.
Il caso Sorgenia dimostra che quando c’è accordo e competenza fra le banche creditrici, oltre che metodo, si possono evitare moltiplicazioni di Npl e di perdite clamorose nei bilanci delle banche, distruggendo ricchezza.
Il virus degli Npl, cioè dei crediti che non performano e ora, ancora peggio, degli Utp (Unlikely to pay), cioè dei crediti che potrebbero generare insolvenze, è una corsa verso il vuoto. Dice uno straordinario e onesto banchiere: «La sera, quando vado a letto, mi capita spesso di sentirmi la coscienza rimordere: pur di liberarcene, vendiamo gli Npl a soggetti che useranno metodi non ortodossi per incassarli. E mi domando: ma chi ha più informazioni su quei debitori della nostra stessa banca? Perché non troviamo il modo di essere noi a ottenere il più possibile? Magari, cammin facendo, le società debitrici si salvano anche». Bravo signor P. Se poi il discorso viene spinto fino agli Utp, si capisce che chi crea a Bruxelles o a Francoforte questi mostri non vuole bene né alle banche né ancor meno alle imprese.
La logica è la stessa della legge italiana che doveva entrare in vigore nel luglio prossimo e che per fortuna è stata rinviata. Questa legge Rordorf è il parto di un ottimo magistrato ma che non ha il senso della realtà e non conosce il circuito perverso generato dal sospetto. Questa legge, infatti, vorrebbe imporre alle pmi, cioè al tessuto economico reale dell’Italia, di sottoporsi ad annuali check-up. Se un’azienda, minimo, avesse qualche problema, di fatto verrebbe esclusa dal sistema del credito con il risultato facilmente immaginabile di una ecatombe. Già le banche sono minacciate di non fare credito a certe aziende, figuriamoci se queste aziende, che pure danno lavoro e producono, venissero bollate da rating negativi resi pubblici.
Class Editori, ha il controllo della società MF Centrale Risk, che con un software esclusivo permette alle aziende di tenere sotto controllo i loro debiti così come sono registrati nella centrale rischi della Banca d’Italia, ma ha anche l’expertise per poter fare il check-up richiesto dalla legge. Avrebbe quindi grande vantaggio dall’entrata in vigore della sciagurata legge. Ma Class editori rinuncerà volentieri a questi fatturati se il buon senso farà morire questa legge, che perversamente segue lo schema di Bruxelles e di Francoforte di trasformare le banche in strumenti inabilitati a fare credito. Mentre il miracolo di Sorgenia, nonostante il giudizio di irreparabilità dell’imprenditore-fondatore, dimostra che quando le banche fanno le banche non si perdono posti di lavoro, non si distrugge ricchezza, anzi se ne crea, e i bilanci delle stesse banche non subiscono salassi.
E sa, Signor Governatore Ignazio Visco, qual è il segreto di questo successo? Aver studiato il mercato e scelto manager di qualità. Lei anche recentemente ha predicato che le banche popolari, cioè le banche del territorio che conoscono anche il più piccolo tic degli imprenditori locali, si dovrebbero aggregare. È questa la politica fallimentare che è stata seguita con le varie fusioni fatte o auspicate. Le banche del territorio possono fare ciò che le grandi banche hanno fatto per Sorgenia e cioè aiutare le aziende a esistere, a svilupparsi, comprendendo bene, perché società di vicinanza, quelle che valgono e quelle no. Chi può capire ciò, forse il responsabile dell’agenzia di una grande banca in un Paese periferico? Ma con la logica della turnazione quel responsabile, se non è originario di quel Paese, nel tempo in cui rimane in carica non ce la farà neppure a conoscere tutti i suoi clienti.
E poi, l’accanimento contro le popolari è assurdo. Le popolari sono portatrici di valori di solidarietà. Che la Vigilanza controlli l’attuazione del principio di solidarietà e vigili che i manager della banca siano all’altezza, senza tuttavia, come è successo con le popolari fallite e in particolare la Vicenza, pretendere di scegliere il direttore generale o ad e non solo. Lei sa, Signor Governatore, che la scelta del consiglio della Vicenza per sostituire l’ad infedele era caduta su un uomo della preparazione e dell’onestà di Divo Gronchi, che proprio Bankitalia aveva fatto andare a Lodi per gestire il crack compiuto da Gianpiero Fiorani? Sono sicuro che lei sappia tutto questo e che sappia anche che la Vigilanza bocciò Gronchi perché, appena settantenne, sarebbe stato troppo anziano e perché non spiccava bene l’inglese, mentre Gronchi aveva sia la competenza che l’esperienza per evitare il fallimento, visto che in passato aveva condotto la Banca di Vicenza con estrema perizia, fino a determinare Bankitalia a chiedere che la Vicenza salvasse l’Etruria.
Bene, al posto dell’infedele Samuele Sorato, colto poi da gravi problemi di salute, la Vigilanza si arrogò il diritto (cui dovrebbe corrispondere anche la responsabilità) di fare andare a Vicenza un uomo certo onesto come Francesco Iorio, ma impreparato, come si è verificato, per un compito così straordinario.
Non le pare, Signor Governatore, letta anche la Sua ampia e recente intervista al Corriere della Sera, che fra le cose da verificare (per eventuali responsabilità di Bankitalia) ci sia anche quella, quantomeno di acquiescenza, ai voleri del Meccanismo unificato che sta a Francoforte ma di cui Bankitalia è il braccio operativo in Italia? Non Le pare che attuare delle scelte sbagliate, anche se fatte da altri, comporti una responsabilità precisa da parte di chi le accetta e le attua?
Bankitalia ha una straordinaria tradizione di qualità; ha fornito al Paese, nella storia, uomini decisivi per aiutare il Paese a non naufragare. Non è il caso di recuperare questa tradizione e non dire sì, sempre, al Meccanismo unificato di vigilanza, che certo è autonomo perfino rispetto al Consiglio dei governatori della Bce, ma verso il quale Bankitalia ha una tradizione di qualità per poter dire anche dei no come braccio operativo, quindi quello che fa.
Non crede, Signor Governatore, che proprio da una banca centrale di altissima tradizione come Bankitalia si debba levare una parola, una richiesta di ritornare alla qualità delle scelte e alla responsabilità delle stesse? Non perché ora a capo del Meccanismo c’è un italiano, Andrea Enria, ex Bankitalia, ma perché non accadano più vicende come quelle a cui si è assistito in Italia negli ultimi anni e che sono state risolte soprattutto per la capacità professionale dei banchieri italiani.
Infine, Signor Governatore, a che punto è Bankitalia nell’utilizzo del data science e dell’intelligenza artificiale? Glielo chiedo non solo per capire quanto delle nuove scienze viene usato dalla Banca di cui lei è governatore, ma anche per capire se, come è avvenuto sempre nel passato, Bankitalia fa da esempio e stimolo per l’innovazione di tutto il Paese. Grazie.