Il Messaggero, 4 gennaio 2020
Sessant’anni fa la morte di Camus. Fu un incidente?
«La democrazia non è la legge della maggioranza, ma la protezione della minoranza», scriveva Albert Camus nei suoi taccuini, poco prima di morire, esattamente sessant’anni fa. Parole ancora oggi condivisibili, da parte di un intellettuale scomodo, la cui scomparsa in un oscuro incidente stradale ha i contorni di un vero e proprio giallo.
«Io sono convinto da sempre che sia stato ucciso perché, avendo approfondito la sua figura, ho capito che si era fatto troppi nemici», dice lo scrittore cremonese Giovanni Catelli, autore di Camus deve morire, il libro che per primo ha lanciato questa sorta di teoria del complotto (ben più solida di tante altre), e che ora è stato tradotto – in una nuova versione aggiornata con dettagli inquietanti – in Argentina e anche in Francia (con una nota di Paul Auster) dove ha fatto molto discutere.
La teoria di Catelli è, infatti, tutt’altro che peregrina. Lo scrittore de Lo straniero e La peste era inviso non solo agli intellettuali organici come Sartre, ma anche e soprattutto a Mosca. Le condanne del regime sovietico, ma anche la benedizione del Nobel a Boris Pasternak, erano macchie indelebili, agli occhi del Kgb. «Potrebbe essere stata una sinergia», sostiene Catelli, che ora ha reperito anche una testimonianza dell’avvocato e attivista Jacques Vergès (comunista militante) che sosteneva a sua volta che l’incidente fosse stato provocato ad arte.
IL PUZZLE
Una testimonianza secondo Catelli «fondamentale»: dopo la pubblicazione de L’uomo in rivolta e la rottura con Sartre, Camus era stato pesantemente attaccato dalla sinistra francese, apostrofato come fascista e pubblicamente indicato alla pubblica riprovazione. Catelli, per corroborare la sua tesi, ha scavato a fondo nelle infiltrazioni sovietiche nella Francia di De Gaulle, e riscontrato una «coincidenza sostanziale»: la visita del capo dell’Unione Sovietica, Nikita Krusciov, poche settimane dopo l’incidente.
Ma torniamo a quel fatidico 4 gennaio di sessant’anni fa. Poche ore prima di trovare la morte, Camus scrive da Thoissey, nella Francia centrale, una «ultima lettera» alla sua amante di allora, l’attrice feticcio di Alain Resnais, Catherine Sellers: «Ti benedico dal fondo del cuore».
IL VIAGGIO
Poco dopo, lo scrittore premiato con il Nobel nel 1957, parte per parigi in macchina. Alla guida c’è il suo editore, Michel Gallimard, mentre sui sedili posteriori viaggiano la figlia e la moglie di quest’ultimo. Più tardi, all’altezza del paesino di Petit-Villeblevin, Gallimard perde il controllo dell’auto, che si schianta contro un platano. Il guidatore muore sul colpo, mentre Camus viene estratto agonizzante: morirà poco più tardi. Catelli sostiene che l’ordine di manomettere uno pneumatico dell’auto sarebbe arrivato direttamente dal ministro degli Esteri sovietico Shepilov, sobillato da un articolo di Camus che l’aveva duramente attaccato in un articolo per la repressione in Ungheria. A chi gli dice che non è stata trovata alcuna prova di manomissione sull’auto, l’autore di Camus deve morire risponde mostrando le sue ricerche sulle attività di spionaggio sovietiche sin dagli anni Venti, che hanno reso Parigi una sorta di «centrale del Kgb», ed elenca i delitti perpetrati con l’ausilio dei servizi cechi nella capitale francese in quegli anni.
Di certo, la morte di Camus, a soli 47 anni, è stata una perdita incolmabile. Chissà cosa avrebbe scritto, o come avrebbe reagito, se fosse arrivato a vedere il crollo del Muro di Berlino. Ma la morte era un pensiero costante per lui, sin dal suo primissimo romanzo. «Persino la morte – profetizzava in un taccuino – mi sarà contesa. Eppure ciò che oggi desidero profondamente è una morte silenziosa, che lasci pacificate le persone che amo».