La Stampa, 4 gennaio 2020
La Dakar si sposta in Arabia
Laia Sanz è abituata ad essere guardata con sospetto, è la decima volta che corre la Dakar e nelle altre nove è sempre arrivata in fondo. La corsa cambia, lei no, insiste sullo stesso sogno, oltrepassare frontiere considerate invalicabili. Ora che il popolo dei rally si è abituato ad averla in gruppo, si ritrova a guidare dove, fino a un anno mezzo fa, le donne non potevano stare al volante: «Un’idea scioccante».
Il rally più famoso al mondo si sposta per la prima volta in Medio Oriente, in quell’Arabia Saudita che foraggia lo sport in cambio di un’immagine e che tenta di evolversi senza però perdere le brutte abitudini. La grande boxe, la Supercoppa italiana, quella spagnola, si è già visto tanto, ma la Dakar è un ulteriore corto circuito. Il Paese che tiene tutt’ora in galera le attiviste incarcerate per la protesta contro il divieto alla guida, caduto solo nel 2018, coccola la competizione in cui le ragazze si fanno notare.
Dalla fine degli Anni Settanta, la terribile Dakar, considerata la corsa più faticosa e pericolosa che ci sia, mette alla prova le donne. Hanno iniziato in sette e i numeri si sono mossi poco, domani al via si presentano in 12, al massimo si è arrivati alle 17 dell’ultima edizione in Perù. Dalle prime pionieristiche partecipazioni si è passati al successo di Jutta Kleinschmidt (2001) e alla costante presenza ai vertici della categoria moto della spagnola Sanz. Le signore della Dakar sfrecceranno fra le dune di un mondo che solo da pochissimo ha smesso di boicottarle, un Paese che si apre eppure ha ancora paura di chi dice la sua.
Le organizzazioni umanitarie chiedono ai partecipanti di ricordare Naseema al-Sadah, Loujain al-Hathloul e Samar Badawi, persone private della libertà perché manifestavano per il diritto alla guida. Nessuno le ha più viste, anche se oggi ci sono donne al volante a Riad e a Jedda, partenza di questa Dakar.
Un’italiana al via
C’è anche un’italiana al via, la veterana Camelia Liparoti, alla dodicesima edizione (anche se non tutte completate), prima sui quod e ora nella categoria side by side. Si presenta in coppia con Annett Fischer, unica coppia al femminile. Sarà strano e importante per tutte, magari pure un’occasione di lasciare un segno su quella sabbia, una labile traccia che può contribuire ad allargare gli orizzonti, prima di sparire.
Sanz si porta il casco con un invito che vale per tutti: «Chi ha la volontà ha anche la forza», a lei serve per superare tappe difficili e maratone estenuanti, ad altre per costruire un futuro degno. La Dakar è abituata a sfidare il pericolo, ogni pilota sa che non ci si può fidare e persino un campione del mondo di F1 come Fernando Alonso rifiuta di sentirsi tra i favoriti al primo giro in questo viaggio: «Impossibile prevedere tutte le variabili, non si può programmare, bisogna affrontare». Un buon motto da quelle parti.
Nelle 12 tappe, l’Arabia si mette in mostra: dai siti archeologici, dove negli ultimi due anni le guide turistiche hanno scortato i primi visitatori stranieri, alla smart City Neom, una città enorme e completamente hi tech. Si passa dai giacimenti di gas che fanno la fortuna dei tanti principi a Qiddiyah, il mega cantiere che vuole ospitare tutto il divertimento saudita. Lì c’è il traguardo, della Dakar e della «Visione 2030» che dovrebbe cambiare la società, ma non ha fretta di correggere gli errori. Anche se ora le donne guidano, addirittura fuori strada.