La Stampa, 4 gennaio 2020
L’effetto Greta sulla moda
Lunga vita agli abiti, indossati e rindossati a più non posso, meglio se passati con cura a figli e nipoti, o fatti ri-nascere, reinventati.
Il riciclo è diventato d’obbligo, il futuro della moda è il vintage. Concetto suggellato pure da Anna Wintour, direttore a vita di Vogue America. E in ultimo anche da Virgil Abloh, designer di un marchio desideratissimo come Off-White oltre che del menswear di Louis Vuitton. «Direi che lo streetwear sta per morire», ha sentenziato in un’intervista a Dazed; «Se ci penso, mi chiedo quante T-Shirt, quante felpe, quante sneakers possiamo ancora avere? Penso che questo modo di esprimere noi stessi e il nostro stile sia ora possibile tramite il vintage. Credo che la moda si allontanerà dal concetto di comprare qualcosa di nuovo, preferendo una sorta di ritorno nei propri archivi».
Maggior sostenibilità
Del resto la tendenza era già in atto soprattutto tra le nuove generazione: maggiore sostenibilità e fine della cultura usa e getta, di quella moda low cost che in realtà un costo esorbitante ce l’ha sia per l’ambiente (recenti studi dimostrano che l’industria tessile crea più emissioni di CO2 rispetto al trasporto aereo e marittimo messi insieme) csia per i modelli occupazionali. Secondo un rapporto del 2016 di McKinsey la produzione globale di abbigliamento è raddoppiata tra il 2000 e il 2014, con un numero di capi acquistati ogni anno per persona in aumento del 60%.
In media compriamo venti chili a testa di vestiti l’anno. Ma poi, globalmente, quasi tre quinti di quei vestiti finiscono in un inceneritore o in una discarica entro un anno dalla loro fabbricazione.
Cosa è cambiato
«La rivoluzione industriale ha cambiato tutto. Prima di allora la maggior parte dell’umanità indossava solo abiti di seconda mano. Poi sono stati introdotti sul mercato abiti fatti in fabbrica e le persone incoraggiate ad acquistare e desiderare cose nuove», spiega Robyn Annegar nel suo nuovo libro, Nothing New: A History of Second-Hand. Ma ora il trend è in corso di inversione, uno studio della piattaforma Us thredUP ha previsto che il mercato americano dell’abbigliamento di seconda mano raddoppierà in cinque anni passando dai 24 miliardi di dollari del 2018 ai 51 miliardi nel 2023.
In alcuni Paesi come la Francia il governo ha iniziato campagne per non buttare prodotti come vestiti ed elettrodomestici invitando piuttosto a ripararli o a trovarne altri utilizzi. Il motore è soprattutto il desiderio di consumi più sostenibili,così il sito di shopping di moda Lyst ha registrato un aumento del 47% nelle ricerche di articoli con parole chiave come cotone organico e pelle vegana.
Credenziali ecologiche
«Molti brand stanno provando a rafforzare le proprie credenziali ecologiche e attirare i giovani consumatori, molto attenti all’ambiente», ha spiegato Wintour all’agenzia Reuters. Per passare infatti lo scrutinio di millennial e gen Z le credenziali ecologiche sono fondamentali, e i marchi devono dimostrarsi coerenti con i valori che promuovono, sennò rischiano di finire vittime della cancel culture - espressione scelta dal Macquarie Dictionary come parole dell’anno 2019 - ovvero la pratica di boicottare persone, in particolare celebrità, e prodotti che sono considerati non accettabili da un punto di vista etico.
Così il gruppo Zara, per esempio, ha annunciato che tutte le sue collezioni saranno realizzate con tessuti sostenibili al 100% entro il 2025. Inditex (che detiene i machi Zara, Massimo Dutti e Pull & Bear ed è la terza più grande azienda di abbigliamento al mondo) va detto che è già da anni impegnata in una programma tosto di sostenibilità ambientale: nel 2015 ha raccolto oltre 34.000 tonnellate di abiti usati, dopo aver installato banchi di vestiti in oltre 800 negozi in 24 regioni e sta lavorando con il Massachusetts Institute of Technology per trovare modi fattibili per riciclare le fibre.
La formula di Stella
Da tempi non sospetti Stella McCartney è la stilista che prima di ogni altro ha tentato di promuovere una coscienza green nel mondo della moda. A ottobre ha mandato in passerella a Parigi la collezione più ecologista di sempre, realizzata al 75% con materiali sostenibili, qualche settimana fa ha lanciato un modello delle iconiche Stansmith totalmente vegano, così come è totalmente riciclabile la sua Koba Fur Free Fur, prima pelliccia biologica prodotta con ingredienti vegetali.
L’impegno di McCartney le è valso la copertina di Vogue America in uscita a gennaio 2020: la coscienza del fashion, prima volta di una designer in cover.
Anche Gucci sta investendo molto in pratiche verdi. Prima azienda del lusso la cui intera supply chain è diventata Carbon Neutral, il presidente e amministratore delegato Marco Bizzarri ha lanciato personalmente una call to action rivolta a tutti i colleghi a capo di altre società per combattere il cambiamento climatico, la CEO Carbon Neutral Challenge. Il nuovo mantra: consumare meno, consumare meglio.