la Repubblica, 4 gennaio 2020
Murnane, il più grande scrittore che nessuno ha letto
Il più appartato dei grandi scrittori che nessuno ha mai letto sta vivendo un tardivo momento di gloria. L’ottantenne Gerald Murnane, australiano di Melbourne e che non ha mai lasciato l’isola né lo Stato di Victoria, completando in quarant’anni quattordici romanzi con la macchina per scrivere adoperando l’indice della mano destra, senza badare a fama o vendite ma ripetutamente candidato al Nobel, rintanandosi sempre più, dopo la morte, nel 2009, della moglie, nella marginalità geografica, ha trovato un pubblico alla sua eccentrica e preziosa altezza.
Accompagnati dalla stima di J.M. Coetzee, Teju Cole e Ben Lerner, il romanzo d’esordio Tamarisk Row e Border Districts con cui, lo scorso anno, ha detto addio alle pubblicazioni (non alla scrittura), sono stati riscoperti negli Stati Uniti e in Inghilterra, mentre il suo capolavoro, Le pianure, inaugura i titoli tradotti in Italia da Roberto Serrai per Safarà.
E con le sue cento, fitte, pagine, questo romanzo del 1982 è un’esaustiva introduzione al paesaggio perturbante della sua immaginazione. Per Teju Cole è erede di Beckett; richiama l’epica di Cormac McCarthy depurata di violenza; se avesse una musica, sarebbe di Johnny Cash. (La voce dell’autore ricorda “The Man in Black”: Murnane ha registrato un vinile in cui declama un suo palindromo di 1600 caratteri, recita poesie di Thomas Hardy e brani dei Devo). La trama de Le pianure è breve e deludente: un regista trascorre vent’anni compiendo le ricerche preliminari per un film che non farà mai, sul paesaggio e gli abitanti delle vaste pianure al centro dell’Australia. E l’inutilità di arricchire trama o personaggi con informazioni utili e certe, è uno degli effetti più riusciti del romanzo, descrizione di un fallimento che non riguarda soltanto la realizzazione del film, per cui il protagonista vivrà dieci anni nella tenuta di un ricco latifondista. Attraverso la descrizione di un paesaggio così uniforme da esser privo di riferimenti e di un popolo ossessionato nel dare identità riconoscibile e mitica all’indistinguibile piattezza di spazi e giorni, Murnane dimostra che nulla che sia vero per una persona, possa esserlo per un’altra. Che si tratti del colore della foschia all’orizzonte, l’aspetto della figlia del latifondista, le terre oltre il visibile. La pianura è la metafora, molto indicata in Australia, per la mente umana, i ricordi e la curiosità. E per ricerche di senso, inutili perché sarebbe folle, «usare le parole per lo scopo meno appropriato, cioè per giustificare un effetto ottenuto con le parole». Il protagonista non girerà il film, i ricchi abitanti delle pianure vedranno confermata la loro filosofia: a sopravvivere è solo l’uomo libero dal bisogno di verità, eccezion fatta per quelle vere per lui. Passato o ignoto, religione e politica: sono tutte congetture. Nell’introduzione, Ben Lerner scrive che «le frasi di Murnane sono piccole dialettiche di tedio e bellezza, piattezza e profondità». Raramente una storia così piatta raggiunge vette di toccante comicità come nelle pagine sugli scontri tra due fazioni, gli Orizzontisti e gli Uomini Lepre. È un divertimento complicato, adatto alle pianure della nostra vita, in cui conta ipotizzare l’esistenza di un luogo oltre il già noto, non trovarlo.