Dalla cerimonia di consegna di un’onorificenza alla sconcertante richiesta di mazzetta, l’incredulità, la riflessione, il consulto in famiglia e la denuncia. Nel giro di poche ore.
«Sono entrata nella stanza del capo della Mobile di Cosenza e mi sono ritrovata a ripetere tutto quello che era successo davanti al questore. E poi hanno chiamato il capo della polizia, il ministro dell’Interno. E mi ripetevano: “Ma si rende conto di quello che sta dicendo?”. Era il 24 dicembre, la notte per l’ansia ho avuto un malore. Ma mi sono resa veramente conto della portata di quello che avevo fatto quando sono andata all’appuntamento-trappola con addosso quell’apparato che videoregistrava, ho consegnato i soldi segnati e sono andata via.
Una telefonata con la parola d’ordine convenuta e l’hanno fermata. E finalmente è finito tutto. O forse tutto deve ancora cominciare. Perché adesso ho paura».
Signora Falcone, di cosa ha paura? Ha denunciato un esponente dello Stato, non un mafioso.
«Sì lo so, ma adesso sono stremata e ho paura che questo mio gesto, del quale sono orgogliosa proprio per il profondo rispetto che ho dello Stato, mi si possa ritorcere contro. Io vivo e lavoro in una terra bellissima ma complicata come la Calabria, è già partita la macchina del fango su di me e sulla mia associazione che si occupa dell’accoglienza dei migranti e la Animed della lotta alla violenza contro donne e bambini. Ma ho anche ricevuto 4.000 messaggi di solidarietà. In Calabria c’è tanta gente onesta. Purtroppo la ’ndrangheta, che non è più quella con il cappello nero, sa come piegarci. Prima o poi dobbiamo ribellarci. Proprio il giorno prima avevo sentito l’appello del procuratore Gratteri. Non avrei potuto agire diversamente. Avevo già detto dei no in passato ma nessuno è stato difficile come questo».
Spieghi perché.
«Perché dallo Stato non te l’aspetti. Eravamo nel palazzo del governo, davanti a me avevo il ritratto del presidente Mattarella e il tricolore. E il prefetto mi chiedeva di fare una truffa e consegnarle una somma miserabile, 700 euro. Per un attimo ho pensato di non aver capito bene. E però, prima di congedarmi, la Galeone mi ha lanciato un messaggio inequivocabile. Parlando della gara per il centro di accoglienza dei migranti a cui partecipavo, mi ha detto: “C’è un documento che non va, ma non ti preoccupare, sistemiamo tutto”. Solo dopo ho scoperto che eravamo esclusi da quella gara. Lei lo sapeva, io no.
L’ho appreso dopo dalla testimonianza di un funzionario. E con quel messaggio pensava di conquistare la mia complicità».
Ma che rapporti aveva lei col prefetto Galeone? Tra le tante voci che girano si dice che soffrisse di ludopatia.
«Non saprei dirle, certo una richiesta simile, rischiare per una cifra così bassa... Io l’ho conosciuta un anno e mezzo fa quando si è insediata. La mia associazione è punto di riferimento per un centro di accoglienza di migranti a Camigliatello e la prefettura mi ha invitato a collaborare per il lavoro che faccio con i ragazzi contro la violenza. Ne ero lusingata. Proprio per questo mi è crollato il mondo addosso quando mi sono sentita fare quella proposta indecente e con quale disinvoltura. “Non ti preoccupare, poi ti dico come fare, ci vediamo fuori”, mi ha detto. E poi in quel bar, mentre io sudavo freddo dalla tensione, mi rassicurava pure: “Serena, serena, respira. Perché sudi?”. Io vengo da una famiglia umile, sa, ma sono stata educata al valore dell’onestà.
E ho fatto quello che andava fatto.
Certo, ai ragazzi nelle scuole dico sempre: non è più tempo di girarsi dall’altra parte, bisogna scegliere da che parte stare. Ma poi quando tocca a te, accidenti quanto è difficile».
La risposta degli altri pezzi dello Stato però è stata pronta. Le hanno subito creduto?
«Sì, entrando in questura ho trovato lo Stato buono, mi sono subito sentita al sicuro. Mi sono fidata. Mi ascoltavano allibiti ma si sono immediatamente attivati con i riscontri: il questore Giovanna Petrocca aveva le mani tra i capelli per lo stupore, la rabbia. Poi hanno messo a punto il piano di intervento e dopo quattro giorni sono andata all’appuntamento con l’apparato di registrazione addosso e le banconote segnate».
Lei ha assistito al momento in cui la Galeone è stata fermata?
«No, appena le ho dato i soldi sono uscita e sono andata in una traversa vicina. Ho dato il segnale convenuto per avvertire dell’avvenuta consegna e sono andata via».
Adesso il prefetto è ai domiciliari. Lei è nell’occhio del ciclone. Rifarebbe tutto?
«Assolutamente sì. La Calabria è una terra particolare, i poteri forti non li vedi ma te li senti addosso.
Negli anni ho già ricevuto tante minacce. “Chi mangia da solo muore affogato” mi mandavano a dire per il centro di accoglienza.
Sono venuti a imporre chi doveva fare le pulizie, chi doveva gestire la mensa. Ma io adesso ho voglia di credere che una ribellione è possibile. Mi dicono che altri imprenditori, dopo quello che ho fatto, si sono presentati per collaborare e raccontare altro. Mi auguro sia solo l’inizio».