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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Intervista a Francesco Sarcina, leader delle Vibrazioni

Un successo folle e immediato, fulmineo e improvviso. Salite e discese, la pausa indeterminata che diventa invece una parentesi che prelude al ritorno. Il riassunto delle Vibrazioni è il riassunto della vita di molte band, tanto unica, quanto comune, perché l’altalena è un gioco da bambini che diventa una metafora dell’esistenza degli adulti. 
Francesco Sarcina, sarete di nuovo a Sanremo. Perché?
«Il Festival rappresenta sempre un’occasione fantastica, un trampolino violento che concentra in una settimana un’esposizione mediatica incredibile. Visto che abbiamo anche una canzone adatta, perché no?».
Molti fanno gli snob...
«Di solito fa lo snob chi non viene preso... Ci sta che ci siano cantanti che non ne hanno bisogno e ci vanno solo come super ospiti. Ma questo snobismo verso il Festival non l’ho mai capito: tutti lo criticano, tutti sputano sentenze, tutti sono grandi conduttori e grandi produttori discografici... ma poi tutti lo guardano e tutti ci vogliono essere».
Il titolo del brano verrà svelato lunedì su Rai1: di cosa parla la canzone?
«Ha per tema la resilienza, la capacità di affrontare e superare le durezze della vita senza farsi travolgere; questo brano è il frutto di un periodo di disagi e sofferenze personali. Ma nonostante tutto quello che mi è accaduto ho accusato bene il colpo. Sono esperienze che mi hanno colpito ma non abbattuto: nella vita bisogna anche essere un po’ pugili e saper incassare».
Dietro questa resilienza c’è anche la fine del matrimonio con sua moglie Clizia Incorvaia, un fatto privato che è diventato molto pubblico: è una sorta di Rock Therapy?
«I rapporti umani a volte prendono strade inaspettate, diventano meteore impazzite, arrivano colpi bassi contro qualunque aspettativa. Le crisi possono esserci, si possono superare o no, ma certe reazioni inattese ti colpiscono. È un’energia che ti può abbattere. Io ho cercato di volgerla in positivo: nella musica e nell’amore per i miei figli». 
Il primo Sanremo era del 2005, con che occhi lo rivede?
Ride. «Non avremmo dovuto farlo, eravamo molto giovani e senza controllo, tutto era una scoperta e travolgente».
Poi siete tornati due anni fa.
«È stato un Sanremo più bello, più puro e intenso, eravamo più saggi e nel frattempo siamo diventati professionisti».
Il bello del Festival?
«È tutto concentrato, è un tuffo nella musica con tanti amici e colleghi nello stesso posto».
Il brutto?
«Si parla solo e sempre di una canzone, dalla mattina alla sera; si chiacchiera tanto ma poi l’esibizione dura solo 4 minuti».
«Dedicato a te» vi fece esplodere nel 2003. 
«Fu un successo pieno di emozioni, fu tutto veloce. Con la saggezza di poi è più facile dirlo, ma avremmo dovuto fare le cose con calma. A un certo punto eravamo dei prezzemolini, eravamo ovunque, per questo non avremmo dovuto fare Sanremo. Ma eravamo inesperti e inconsapevoli».
Siete stati in pausa per cinque anni. Cosa ha rappresentato quella parentesi?
«Eravamo un po’ persi e avevamo smarrito il piacere di fare musica insieme, che è la linfa di un gruppo. È stata una pausa importante per fare esperienze personali e individuali che ci hanno arricchito: ci siamo ritrovati più diretti, immediati e anche metodici».
Perché il rock italiano fa fatica a imporsi?
«Ha sempre fatto fatica in Italia, siamo la nazione della melodia e dei cantautori e questo è parte della spiegazione. L’altro aspetto è che siamo molto esterofili, troppo. Anche le radio che si dedicano al rock ne passano pochissimo di italiano e preferiscono quello che viene da fuori».
Il 17 marzo prende il via da Palermo il vostro tour teatrale. 
«I nostri pezzi saranno riarrangiati in chiave inedita, con nuove sonorità ideate e realizzate da Peppe Vessicchio, che è un nostro grande amico, oltre a essere un grande professionista: si è creata un’energia pazzesca». 
Il singolo sanremese sarà il preludio all’album. Che mood ci sarà dentro?
«Il filo conduttore è il periodo che ho vissuto. Uno pensa a un cantante e immagina solo i concerti e la musica, ma la vita vera è anche altra: il privato, quello che vivi quotidianamente».