Corriere della Sera, 4 gennaio 2020
I nuovi rischi geopolitici
Il 2020 si apre con un’affermazione definitiva: il mondo della globalizzazione non c’è più, la geopolitica ha preso la guida della realtà. È lampante, dopo l’uccisione del capo militare iraniano Qassem Soleimani, in termini di scontro tra nazioni e potenze. Ed è altrettanto evidente per l’economia. I riferimenti con i quali abbiamo vissuto per almeno tre decenni sono in buona parte crollati: il sistema economico, che abbiamo considerato globale, si sta frammentando e, dopo l’episodio di ieri, rischia di andare a pezzi; le tensioni tra Stati alzano muri e influenzano i prezzi degli asset più di quanto non possano fare le banche centrali; multinazionali e investitori sono disorientati davanti a rischi non prevedibili.
È il ritorno del vecchio mondo, quello della Guerra Fredda, ma con grandi differenze. A breve termine, la sorprendente decisione di Donald Trump di eliminare Soleimani provoca reazioni classiche, prevedibili: aumenta il prezzo del petrolio (ieri il Brent è salito più del 3%, a oltre 68 dollari al barile), cresce il prezzo dell’oro (da 1.538 a 1.548 dollari per oncia, ieri), calano le Borse (un po’ tutte, sempre ieri). I pericoli di uno scontro aperto tra Stati Uniti e Iran in Medio Oriente, in particolare attorno al Golfo Persico, fa temere la distruzione di produzioni di greggio e delle rotte di trasporto petrolifero.
L’andamento del costo del barile dipenderà però da due fattori. Ovviamente dalla portata delle distruzioni all’estrazione: quelle avvenute lo scorso settembre in Arabia Saudita – imputate da Riad e Washington ad attacchi di Teheran – hanno provocato una crescita contenuta del prezzo. Soprattutto perché – questo è il secondo fattore – gli Stati Uniti sono da qualche anno il primo estrattore mondiale e la struttura produttiva delle compagnie americane che utilizzano la tecnologia fracking è molto sensibile al prezzo: quando aumenta, entrano in produzione nuovi pozzi, con il risultato di avere un effetto calmierante (almeno parzialmente) nel mercato mondiale.
L’uccisione del capo militare iraniano, indipendentemente dal giudizio che se ne dà, apre però una crisi dalle conseguenze potenziali molto più serie del solito. Gli americani potrebbero dover lasciare l’Iraq, dove oggi hanno truppe invitate dal governo di Bagdad e interessi petroliferi. L’Arabia Saudita e i suoi pozzi si trovano esposti alla possibile vendetta iraniana. Israele, che il regime di Teheran promette di distruggere, è in prima linea. E un po’ tutto il Medio Oriente è in tensione.
La chiave di quel che succederà nella stessa economia sta nel verificare se l’attacco americano a Soleimani è un atto isolato e velleitario, che espone a conseguenze imprevedibili, oppure è parte di una strategia: nel lungo periodo, un Medio Oriente sottosopra peserebbe sull’industria, sulle Borse, sulla finanza.
Anche perché lo scontro tra Stati Uniti e Iran non è affatto l’unico conflitto in essere. L’invio di truppe turche in Libia, altro Paese energeticamente rilevante anche se al momento a produzione ridotta, apre la questione dei rapporti nel Mediterraneo, dove, se pur schierandosi su fronti libici opposti, Ankara e Mosca stanno ponendo basi per costruire la loro influenza. Anche grazie al disinteresse americano e all’inconsistenza dell’Europa.
Qui in questione sono ancora il petrolio e il gas, nel mare e in Libia, ma anche, soprattutto, lo scontro per l’egemonia sul bacino mediterraneo e la capacità di influenza, se non di ricatto, sulle economie che vi si affacciano e sull’Europa.
Più a Est, l’uccisione di Soleimani ha tutte le possibilità di diventare un test nello scontro tra Washington e Pechino. A fine 2019, Cina, Russia e Iran hanno condotto quattro giorni di esercitazioni militari navali congiunte nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Oman. Lette dalle diplomazie come una dimostrazione di forza e di collaborazione indirizzata contro gli Stati Uniti. Come reagiranno ora Pechino e Mosca influirà sulle relazioni tra le tre potenze, in particolare sui rapporti tra Trump e Xi Jinping. Lo scontro commerciale Washington-Pechino – che il 15 gennaio dovrebbe vedere la firma di una tregua molto parziale – si è ormai ampliato a tutti i settori della tecnologia, alla corsa agli armamenti, alla ricerca dell’egemonia nel bacino indo-pacifico. Gli sviluppi del caso Soleimani potrebbero accelerare la corsa in atto verso il cosiddetto decoupling delle due maggiori economie, le quali non si fidano più l’una dell’altra: con la creazione di due sistemi paralleli, guidati da regole e standard diversi, nel quale gli altri Paesi dovrebbero scegliere da che parte stare. Sarebbe un disastro, vista l’integrazione che hanno raggiunto la produzione e la finanza globali. Nel medio periodo, questa accelerazione è il rischio economico forse maggiore dell’uccisione di Soleimani.