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 2020  gennaio 04 Sabato calendario

Cosa farà ora l’Iran?

La mattina è andata avanti come da programma, passeggiata in famiglia sulle pietre antiche dell’Acropoli. Per qualche ora Benjamin Netanyahu ha lasciato perfino intendere che sarebbe rimasto per tutto il fine settimana ad Atene, dove giovedì sera ha firmato l’intesa sul gas naturale con i greci e i ciprioti. Un modo di mostrare in pubblico che Israele dall’uccisione di Qassem Soleimani vuole restare fuori: il premier ha esaltato il «coraggio» di Donald Trump, per il resto silenzio.
Dopo il diversivo tattico-turistico, ha riattraversato il Mediterraneo in volo e ha tenuto una riunione di emergenza alla Kirya, il cubo bianco a Tel Aviv che alloggia al quattordicesimo piano il ministro della Difesa e il capo di Stato Maggiore. Gli israeliani sanno di essere tra i possibili bersagli di quella rappresaglia che il Supremo consiglio per la sicurezza nazionale iraniano proclama di aver già deciso. Come e dove gli uomini di Soleimani sceglieranno di vendicare la morte del comandante è in parte definito dalla mappa che il generale stava cercando di ridisegnare per il Medio Oriente, quella mezzaluna sciita che passa attraverso l’Iraq, lo Yemen, la Siria, il Libano.
I tempi
Anshel Pfeffer si chiede sul quotidiano Haaretz «quanto i leader iraniani abbandoneranno la cautela»: «Fino ad adesso, dalle perdite del conflitto con l’Iraq di Saddam Hussein, hanno evitato di scontrarsi frontalmente con i nemici e hanno sviluppato in modo sofisticato l’arte della guerra asimmetrica e per procura». Il collega Amos Harel è in ogni caso convinto che «la risposta è già in arrivo, durerà a lungo e colpirà su diversi fronti». Altri analisti si basano su episodi del passato per azzardare che «gli ayatollah sono sotto choc, ci vorrà tempo», come predice Yoel Guzansky dell’Institute for National Security Studies a nord di Tel Aviv. Quando Imad Mugniyeh – considerato la mente militare di Hezbollah – fu ammazzato nel 2008 a Damasco, Soleimani era lì: lo aveva accompagnato all’auto esplosa pochi minuti dopo. L’organizzazione libanese – sostenuta dagli iraniani – accusò Israele e giurò vendetta: sarebbe arrivata nel 2012 con l’attentato contro un autobus di turisti in Bulgaria, come hanno ricostruito le indagini del governo di Sofia.

I soldati americani
Il livello di allerta è altissimo a Bagdad, ai civili statunitensi è stato ordinato di lasciare l’Iraq, la paura riguarda anche le ambasciate e i diplomatici: come prima mossa gli iraniani – sono convinti gli analisti – cercheranno di commemorare Soleimani con un attacco sullo stesso campo di battaglia dove è caduto. Nel mirino sono considerati anche il piccolo contingente di forze speciali arroccate nel deserto siriano e i militari che non hanno mai lasciato la guerra senza fine in Afghanistan.

Colpire gli alleati
Gli ufficiali israeliani hanno subito fatto arrivare un messaggio attraverso i mediatori egiziani. L’avvertimento è per i capi di Hamas e della Jihad islamica che spadroneggiano nella Striscia di Gaza: non immischiatevi. La Jihad è il gruppo che ha il legame più forte con gli ayatollah di Teheran e potrebbe ricevere la direttiva di attaccare il principale alleato degli Stati Uniti nella regione con il lancio di razzi sulle città. Il fronte nord è ancora più complesso: Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, ha pianto l’amico Soleimani in diretta televisiva e contro Israele ha già combattuto per 34 giorni nell’estate di dodici anni fa. I suoi miliziani si muovono anche in Siria assieme ad altri gruppi paramilitari sciiti: gli iraniani potrebbero scegliere di rispondere usando i fedelissimi in Libano o colpendo dalle montagne attorno al Golan. Stessa modalità operativa, il raid su commissione, se i gruppi armati Houti bersagliassero i sauditi in Yemen. 

I pozzi petroliferi 
L’Arabia Saudita e il Kuwait – e con loro gli americani – temono che tra gli obiettivi ci siano i pozzi petroliferi e il tentativo di creare una crisi economica globale. L’Iran può centrarli con i missili e a rischio sono anche le petroliere che navigano nello Stretto di Hormuz, dove passa il 20 per cento del greggio mondiale: proprio Soleimani nella sua sfida a distanza con Trump avrebbe in passato dato ordine di sequestrarle.