La Stampa, 3 gennaio 2020
Raddoppiano le segnalazioni di abusi negli asili
Poco più di dieci anni fa, per la prima volta in Italia, venivano installate le telecamere all’interno di un asilo nido. Tutto partì dalla denuncia di un papà nei confronti di due insegnanti per sospetti maltrattamenti a sua figlia. Il 2 dicembre 2009 Anna Laura Scuderi, 41 anni ed Elena Pesce, 28 anni, titolare e ausiliaria dell’asilo nido Cip Ciop di Pistoia, vengono arrestate. L’accusa che nel 2015 diventa condanna con sentenza definitiva è di maltrattamenti nei confronti di bimbi di età compresa fra pochi mesi e 6 anni. L’ultimo degli episodi filmato dalle microcamere installate dal 19 novembre al 2 dicembre 2009 decretò l’arresto immediato delle due donne: un bambino di 8 mesi rigurgita; la titolare della struttura lo colpisce con due schiaffi alla testa che fanno cadere il piccolo sul vomito; la donna solleva il bimbo strattonandolo in malo modo. Le immagini dei maltrattamenti finiscono in tv. Fu l’inizio di una catena di casi di cronaca che fino a quel momento avevano avuto poco risalto mediatico. Sono storie brutali se viste con gli occhi di un lettore, ma con quelli di una famiglia coinvolta allora raccontano il dramma di genitori e figli costretti a percorrere, per sempre, i sentieri oscuri dell’angoscia e della paura. È la testimonianza di un dramma umano da un lato e del fallimento di pezzi del sistema educativo dall’altro.
Dieci anni dopo Cip e Ciop
Un fenomeno descritto da numeri impietosi, glaciali: 5.500 i casi segnalati nel 2019, erano 2.450 nel 2018 e 2.000 nel 2017. E dal 2010 fino a metà dicembre scorso sono state 18.900 le richieste di supporto arrivate al numero verde 800984871 de La Via dei Colori. La onlus, unica nel suo genere, fu fondata a Genova il 2 dicembre 2010, un anno dopo l’arresto delle maestre del Cip e Ciop da Ilaria Maggi e altri 4 genitori di bambini maltrattati. I loro figli sono stati picchiati, chiusi nel bagno al buio per ore o fuori dalle aule al freddo. Sono stati costretti a stare immobili i in silenzio e addirittura a mangiare il cibo vomitato. Sono immagini indelebili nelle menti di genitori vittime essi stessi. Le loro vite sono cambiate dopo una telefonata. Ilaria Maggi, informatica, era al lavoro, era alla sua scrivania di dirigente di Lottomatica quando le assistenti sociali di Pistoia le dicono di raggiungere l’asilo perché le maestre di suo figlio sono state arrestate. È incredula e come racconta la giornalista Alessandra Erriquez in un capitolo del libro "Ho scelto le parole" (La Meridiana) dieci anni fa era pronta a difendere le maestre di suo figlio allo spasimo. Ma i filmati dei maltrattamenti la costringono a fare retromarcia. Lascia il lavoro, lascia la Toscana, si trasferisce a Genova e fonda con avvocati e psicologi la Via dei Colori. Da dieci anni l’associazione è punto di riferimento (gratuito) delle famiglie che vivono il suo smarrimento e offre ai soci (il tesseramento costa 50 euro l’anno) supporto legale e psicologico. Sono già 800 i genitori seguiti dall’ufficio legale e 180 i casi giudiziari in corso nelle aule dei Tribunali di tutta Italia, da Caltanissetta a Trieste. «Continuano a verificarsi episodi di cronaca e ciò desta preoccupazione e allarme sociale – commenta Filomena Albano, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – Le telecamere negli asili possono essere un valido strumento di prevenzione e contrasto e costituire un deterrente alla commissione di abusi». Intanto, la proposta di legge per l’installazione di telecamere a circuito chiuso negli asili nido e nei centri per gli anziani approvata alla Camera il 23 ottobre 2018 è ferma in Senato. «Occorre cambiare radicalmente alcuni aspetti del sistema – denuncia Ilaria Maggi, presidente de La Via dei Colori – Gli insegnanti indagati e condannati possono continuare a insegnare. L’interdizione è a discrezione dei giudici. Alcuni insegnanti sono trasferiti anche nella stessa città e ci sono stati casi in cui i genitori hanno fatto da staffetta per avvisare le nuove famiglie. Periti dei Tribunali hanno paragonato il vissuto dei bambini a quello dei soldati in guerra. Come è possibile tollerare che un’insegnante così torni in classe? È una follia».