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 2020  gennaio 03 Venerdì calendario

Renée Zellweger nei panni di Judy Garland. Intervista

L’America s’era innamorata di lei dalla sua prima apparizione accanto a Tom Cruise in Jerry Maguire, era il 1996. Renée Zellweger avrebbe poi mantenuto le promesse con i successi dei primi anni Duemila, da Chicago a Il diario di Bridget Jones e Ritorno a Cold Mountain che le valse un Oscar come migliore attrice non protagonista. Ma da qualche anno l’attrice, oggi cinquantenne, era tornata sullo schermo solo in piccoli ruoli. Secondo alcuni, a causa degli eccessivi ritocchi estetici che ne avrebbero alterato l’espressività. È tornata con la serie What/If su Netflix, ora tenta il colpaccio conJudy, in cui interpreta un “monumento” della storia di Hollywood, Judy Garland. Diretto da Rupert Goold, nelle sale italiane dal 6 febbraio, il film si concentra sull’ultimo anno di vita dell’attrice ormai sola, alle spalle quattro divorzi, senza più la voce di un tempo, senza un soldo e senza un contratto perché ritenuta inaffidabile. Ma ha dei figli piccoli e accetta una tournée a Londra, dove arriva nell’inverno del 1968. Sarebbe morta l’anno dopo, a soli 47 anni. Grazie a questa performance, Zellweger è candidata a un Golden Globe (domenica sera la cerimonia di consegna dei premi) e già si guarda all’Oscar, contando sull’“effetto biopic” che spesso è garanzia di successo, vedi quest’anno Rami Malek con il suo Freddie Mercury di Bohemian Rhapsody.
Un atto di coraggio interpretare Judy Garland, che potrebbe ripagarla con i premi più ambìti.
«Non ci voglio pensare. Sono felice dei due anni che ho trascorso con questa donna meravigliosa. Due anni per capire meglio quello che ha dovuto affrontare, per riconoscere quanto sia stata forte, per trovare il modo di ricordare a tutti quanto sia stata importante la sua figura, non solo al cinema ma più in generale nella storia della cultura popolare».
Garland viveva e respirava solo grazie al fatto di essere una grande interprete. C’è qualcosa in lei che gliela fa sentire vicina?
«Non so se io sia nata per essere un’attrice, ma certamente ora la recitazione dà ossigeno alla mia vita. Judy era già una performer quando aveva due anni. Non avrebbe potuto sopravvivere senza un palcoscenico».
Nel film si racconta la parte più dura di Hollywood, il controllo degli studios, le pressioni continue. Lei ha avuto esperienze di questo tipo?
«Solo parzialmente per il fatto di essere donna e di vivere negli Stati Uniti. E a Hollywood la situazione è anche peggiore, c’è sempre qualcuno che cerca di controllarti. Oggi, tuttavia, le donne hanno strumenti diversi e migliori, la consapevolezza del nostro ruolo è mutata e riusciamo a difendeci e a ritagliarci la nostra autonomia.
All’epoca di Judy Garland si era molto più indifese. Venne data in pasto agli squali senza nemmeno un piccolo arpione per tutelarsi.
Come accadde a Marilyn Monroe e a tante altre grandi donne che si muovevano a quei tempi nell’industria del cinema. Piene di talento, ma enormemente fragili».
Si è prestata a una vistosa trasformazione fisica, con un risultato che stupisce. È stata dura diventare Judy?
«Abbastanza. Ogni giorno, prima che iniziassero le riprese, trascorrevo più di due ore al trucco. Io ho gli occhi chiari, ho dovuto indossare lenti a contatto scure. Ho usato delle protesi per il naso, delle mascherine per i denti. È stata un po’ dura, devo ammetterlo. Ma è il nostro mestiere».
Però indossa abiti magnifici.
«Garland tendeva a cambiare continuamente look, ne abbiamo provati tantissimi, in qualche modo ho dovuto rincorrere i suoi capricci. Ma è stato divertente e qualche volta perfino emozionante. Più mi allontanavo da Renée e mi avvicinavo a Judy, e più sentivo che ce l’avrei fatta a interpretarla».
Nella scena finale, canta e si rivolge al pubblico dicendo: “Non vi dimenticherete di me, vero?”.
«Vuole farmi piangere? Un momento da brividi. Pensi alla canzone Over the Rainbow da Il mago di Oz: tutti abbiamo un ricordo legato a quel film, al brano, è difficile non provare nostalgia della nostra infanzia, dei nostri sogni di bambini e tutto passa attraverso la voce di quella ragazzina che era Judy. Temeva l’oblio più della morte. Se solo sapesse...».
Lei ha da poco compiuto cinquant’anni. Un traguardo importante per una donna, per un’attrice.
«E ne sono felice. Mi sento sempre una bambina.È come se le cose avessero assunto un aspetto nuovo, o almeno così le vedono i miei occhi. Non saprei come descrivere questa sensazione.
Avere cinquant’anni è come rinascere. È un nuovo capitolo che si apre, una nuova fase della vita che prevede la scoperta di altre cose, l’esplorazione, la curiosità.
Sono cose che prescindono dall’età anagrafica. Mi sento meglio oggi rispetto a quando avevo venticinque anni. All’epoca, non sapevo nemmeno chi fossi, e che cosa sarei diventata».