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 2020  gennaio 03 Venerdì calendario

Storie di calciatori finiti male

Dagli altari della gloria alla polvere dell’indigenza e dell’emarginazione, fino a toccare da molto vicino il significato della parola povertà. È il destino di alcuni giocatori che hanno sperperato quanto guadagnato nella loro carriera di calciatori, tra scelte dissennate o finendo preda di devianze, dipendenze e depressione. Remo Gandolfi, cercatore di storie di cuoio riguardanti calciatori degli anni ’70 e ’80, ne ha raggruppate una ventina nel libro Storie Maledette. L’altra metà del calcio (Urbone Publishing, prefazione di Paolo Grossi. Pagine 147. Euro 12,00). Tra queste c’è quella di Justine Fashanu la cui carriera venne fermata prima da un grave infortunio al ginocchio, nel 1985, e dopo dall’isolamento sociale scaturito dopo aver dichiarato la sua omosessualità tre decenni addietro. Justine, che aveva trascorso la sua infanzia in un orfanotrofio, fu il primo calciatore di fama a fare coming out pubblicamente. La depressione si portò via Mirko Saric, giocatore del San Lorenzo de Almagro, il club per cui tifa papa Francesco (ha la tessera di tifoso onorario) trovato impiccato nella sua camera ad inizio aprile 2000. Non aveva ancora compiuto 22 anni. Fu la madre a fare la tragica scoperta. Saric era la gioia del settore giovanile del San Lorenzo, capace di bruciare le tappe grazie ad un fisico possente: 190 centimetri per 80 kg di peso, dotato di un’elevata capacità di crossare e repentini cambi di gioco di 30 o 40 metri. L’allenatore Oscar Ruggeri, storico difensore dell’Argentina mondiale del 1986, lo promosse subito pedina inamovibile del suo undici titolare. Alcuni infortuni e frequentazioni sbagliate lo misero ko fino al tragico gesto. È stato a un passo dal suicidio più volte anche “Gazza” Gascoigne. Il più forte talento espresso dall’Inghilterra negli anni ’80, Paul Gascoigne è stato un giocoliere dalla tecnica incredibile e dallo spirito guascone dell’eterno ragazzino: celebri ed esilaranti i suoi scherzi negli spogliatoi della Lazio che strappavano il sorriso anche al serafico Dino Zoff. Oggi Gascoigne entra ed esce da una clinica di disintossicazione all’altra, ha perso tutto e per molto tempo ha vissuto in auto, da senza tetto. Storia che lo accomuna a Maurizio Schillaci, siciliano, tecnicamente molto più forte del suo più celebre cugino, Totò, dopo le splendide stagioni a Licata, a metà anni ’80, sotto lo sguardo attento ed entusiasta di Zdenek Zeman, arrivò alla Lazio in cerca della definitiva consacrazione. Fu l’inizio della fine. Soldi, lusso, bolidi sfreccianti per la capitale e poi il crac, repentino come una slavina. La sua vita è finita in fuorigioco (come il titolo di un docufilm che racconta il secondo tempo della sua vita), da senzatetto alla stazione di Palermo, costretto ad elemosinare. Anche l’ex interista Fabio Macellari è arrivato nel girone infernale della tossicodipendenza. La risalita la deve alla sua famiglia. Oggi lavora come panettiere e taglialegna, i demoni del passato sono stati sconfitti. Nella strada sbagliata è finito anche l’olandese Andy Van der Meyde, uno che da predestinato nell’Ajax deluse a Milano, sponda interista. Dietro il suo fallimento calcistico spuntarono i vizi: alcol, droga ed eccessi, come ha raccontato nella sua biografia. «Dopo una settimana a Milano stavo male, mi consumava la nostalgia, era un ambiente fatto di eccessi». Un inferno proseguito anche in Premier League, con la maglia dell’Everton, dove Van der Meyde percepiva un ingaggio di 37 mila euro a settimana, più del doppio di quello datogli dall’Inter. Il primo regalo che si fece fu una Ferrari. Poi tante bevute al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. Sbronze e sniffate furono gesti all’ordine del giorno, l’ex promessa dell’Ajax era capace di bevute da alcolista, per niente anonimo, anche prima di andare agli allenamenti, utilizzando farmaci contro l’insonnia: una miscela che lo stava conducendo all’autodistruzione. Da qualche anno allena i giovani, insegnandogli a star lontano da certi rischi. Anche l’argentino Matias Almeyda ha sperimentato la discesa nel Maelstrom. Tra gli episodi che l’ex laziale e interista ha ricordato c’è quello di Azul, il suo paese: bevve cinque litri di vino rischiando il coma etilico. Si riprese dopo cinque ore di flebo e con la famiglia attorno al suo letto. 
I debiti inseguono e corrono più forte di “Pendolino” Cafu. L’ex terzino campione del mondo col Brasile, è rimasto travolto dai debiti accumulati dalla società di procuratori di cui è titolare con la moglie. Ronaldinho, che di soldi ne ha guadagnati tantissimi, tempo addietro è rimasto con appena una decina di euro nel suo conto in banca, finendo anche nelle colonne della cronaca per aver costruito una piattaforma di pesca abusiva in un’area protetta sulle rive del fiume Guaiba. Un altro giocatore ad aver bruciato la sua carriera (era arrivato anche in nazionale) per la dipendenza dalla cocaina è stato Jonathan Bachini, ex Brescia, Juventus, Livorno e Siena. Positivo alla cocaina è risultato anche il biondo Claudio Caniggia, artefice della fine delle notti magiche azzurre trenta anni fa. Il primo calciatore italiano fermato per uso di sostanze stupefacenti fu Angiolino Gasparini, ex Ascoli e Inter: venne arrestato per uso di cocaina all’inizio degli anni ’80. Continuò a giocare e dopo essersi disintossicato è entrato in una comunità di recupero in provincia di Brescia. In strade impervie è finito anche Sebastiano Rossi, portiere del Milan degli “invincibili” guidato da Fabio Capello. Dalla gloria mondiale ad un’esistenza da indigente: la parabola di Andreas Brehme, autore del gol decisivo nella finale di Italia ’90, è passata dalle stelle alle stalle. Problemi fiscali lo hanno portato, alcuni anni fa, a lavorare come addetto alle pulizie per arrivare a fine mese. Guai grossi anche per l’ex gigliato Tomas Repka, alla Fiorentina dal 1998 al 2001, finito in carcere, a Praga, dopo essere stato fermato più volte dalla polizia ceca per guida in stato di ebbrezza. C’è invece chi ha scelto la vita in campagna dopo lo spegnimento dei riflettori del calcio professionistico. Emblematico il caso dell’ex atalantino Fabio Rustico che oggi si guadagna da vivere facendo l’agricoltore, alzandosi alle quattro del mattino e leggendo Pirandello durante l’otium da “Cincinnato” del calcio. Dal pallone alla zappa. Dagli anni nel vivaio dell’Atalanta al posto in prima squadra con compianto Emiliano Mondonico (1996-’97) e dopo quasi un decennio, a 28 anni, l’addio al calcio, una parentesi politica e quindi il rientro in Sicilia, a Mazara del Vallo, per dedicarsi all’agricoltura. Vita serena, a contatto con la natura in una terra assolata e dove l’inferno dura solo poche settimane all’anno. Grinta, determinazione e forza: con queste qualità Fabio Rustico ha dato un senso al secondo tempo della sua esistenza.