il Giornale, 3 gennaio 2020
Leo Gassmann si racconta
«Papà Alessandro mi ha detto: fai quello che ti piace perché la vita non è basata sui like». A ventun anni appena compiuti, Leo Gassmann arriva in gara tra le Nuove Proposte al Festival di Sanremo dopo essersi fermato alla semifinale di X Factor 12 e non aver ancora fermato il solito luogo comune del figlio di. Padre attore, nonno leggenda, il primo pregiudizio che deve superare è sempre lo stesso: quanto pesa il tuo cognome? «Mi reputo un ragazzo fortunato, ma la mia è una condizione anche impegnativa», ha detto. In realtà, quando inizia a cantare è da solo con la sua voce, bella e dolce. E di persona ha i modi eleganti del bravo ragazzo. In gara porterà Vai bene così: «L’ho composta mentre la mamma buttava la pasta, avevo bisogno di scrivere quei concetti e di sentirmeli dire». Un’attitudine d’altri tempi.
Un Gassmann all’Ariston non s’era mai visto.
«E ci sarò soltanto io, perché mio papà non credo proprio che verrà. Mi ha seguito in tv, ha anche creato un gruppo d’ascolto, mi aiuta con i suoi commenti ma penso eviterà di seguirmi fin qui. Comunque è sempre presente».
Come?
«Quasi tutti lo vedono come un attore, ma per me è soprattutto un padre che su tanti punti è l’opposto rispetto a me, ma al quale mi lega un affetto fortissimo perché lui riesce a far sentire la sua presenza».
Agli artisti giovanissimi spesso il Festival sembra «roba da vecchi».
«Ma no, il Festival ha un peso rilevante nella nostra cultura, fa parte del Dna di tutti gli artisti italiani, nonostante talvolta faccia comodo dire il contrario».
Pochi pensavano che nel Dna dei Gassmann ci fosse la musica.
«Beh, un mio avo è stato Florian Leopold Gassmann».
Perciò si chiama Leo?
«Chissà... Lui era comunque un compositore austriaco al quale Metastasio e Goldoni scrissero libretti e che conobbe e lavorò con Salieri e Mozart. La musica ce l’ho nel sangue».
Perché ha scelto il brano Vai bene così per il Festival?
«Perché dopo averlo scritto, mi sono accorto che avrebbe potuto rappresentare tante persone. All’inizio l’ho scritto solo per me, ma talvolta capita di andare oltre le intenzioni».
Quindi si sente cantautore.
«Ho Luigi Tenco come punto di riferimento fisso, poi Lucio Dalla, Ivano Fossati, Jovanotti, Vasco e Brunori Sas, uno degli ultimi veri cantautori insieme con Edoardo Bennato».
E la musica indie?
«Dà l’idea di freschezza. Ma io ascolto anche Oasis, Coldplay e Rolling Stones».
Gli attori fanno spesso battaglie sociali o politiche insieme. I cantanti no.
«Infatti mi piacerebbe che si creasse un movimento di artisti e musicisti che abbia scopi comuni e obiettivi condivisi. Nel Settecento anche i poeti e i letterati dello Sturm und Drang erano maledetti ma tra di loro riuscirono a essere amici».
Cosa farà da grande?
«A nove anni ho iniziato a studiare all’Accademia di Santa Cecilia, ora sono qui, credo proprio che questa sia la mia vita. Non ho manie di protagonismo, io scrivo e canto perché ne ho bisogno».
Qui si sente lo spirito di Vittorio Gassman.
«Ero molto piccolo quando se ne è andato ma, mettendo insieme i ricordi e i racconti che ho sentito, ho ricostruito la sua figura come un puzzle. E sono molto orgoglioso del nonno».