Il Messaggero, 3 gennaio 2020
Gli abiti nati dagli airbag
Anno nuovo, abito vecchio o meglio riciclato con tocco creativo, migliorandone la qualità e aiutando l’ambiente. Una pratica laboriosa che può essere ben riassunta in una sola parola: upcycling, neologismo inglese che sta ad indicare la creazione di oggetti con valore maggiore dei suoi materiali di partenza. Un termine complesso che ha conquistato il titolo di parola dell’anno 2019 (secondo il dizionario di inglese Cambridge Dictionary) e che suona alla stregua di un monito per l’anno appena iniziato, unendo due concetti: riciclare, dall’inglese recycling, e migliorare quello che già si possiede, dal prefisso up.
Dal cucire insieme scampoli di tessuto per una gonna con la tecnica patchwork, al trasformare le maniche di una vecchia camicia in una gonna, le soluzioni si moltiplicano tra le mura domestiche come sulle passerelle targate 2020. «Non è sempre necessario creare partendo da zero», racconta il direttore creativo Alessandro Sartori in occasione dello show maschile per la primavera/estate 2020 di Ermenegildo Zegna XXX. «Possiamo riutilizzare e reinventare ciò che già esiste e ottenere tessuti innovativi dai materiali scartati, applicando tecniche tradizionali ad un tailoring contemporaneo, capace di durare nel tempo», spiega il designer, con l’upcycling che diventa vero e proprio processo industriale con scarti di fibre, tessuti o oggetti (come le bottiglie di plastica) riutilizzate per ottenere nuovi materiali di alta qualità.
IL PROCESSO
Si chiama invece NuCyclTm il processo che trasforma i vecchi indumenti in nuove materie prime per la creazione di vestiti, brevettato dalla società Evrnu, e utilizzato per un prototipo di felpa con cappuccio firmata adidas by Stella McCartney. Una pratica antica, quella di pescare dal baule della nonna, riattualizzando capi altrimenti dismessi, tornata più che mai d’attualità, in linea con l’impegno ambientalista che punta anche al riuso di scarti tessili e abiti in eccesso nel guardaroba, reinventandoli.
Dal recupero degli scarti industriali della produzione di occhiali, altrimenti inutilizzabili, nascono gli anelli TRIuSo che la designer Michela Monaco del marchio Sbottonando ha pensato per essere indossati singolarmente o in originali tris.
Decostruire per ricostruire e meglio. Anche dagli airbag scoppiati (grazie a una partnership con Volvo Car Italia) possono nascere pantaloni e abiti chiusi da cinture di sicurezza così come li assembla per la sua primavera/estate 2020 Giberto Calzolari, il designer già vincitore del premio all’ecosostenibilità Green Carpet Award 2018. Rielaborare creando nuove forme e mescolando i generi: sfilano sulla passerella Marni per la prossima estate, copricapo simili alla raccolta dei rifiuti per mano dell’artista georgiano Shalva Nikvashvili.
Una pratica totalmente artigianale quella di reperire, disassemblare e poi ricomporre in abito o accessorio, materiali inediti senza partire dal più canonico rotolo di tessuto. Un’operazione complessa al punto tale da spingere la francese Marine Serre ad aprire un laboratorio specializzato nel ricondizionamento di capi e materiali per ottenerne capi pezzo unico. In passerella per l’estate 2020 top ritagliati dalle tovaglie, accanto ad abiti nati dall’assemblaggio di sciarpe e foulard e pullover realizzati da asciugami di scarto.
VALORE CREATIVO
Dare una seconda possibilità, rigenerare per creare qualcosa che prima non esisteva, seguendo soluzioni fai da te o affidandosi, per così dire, all’upcycling griffato per mano di designer impegnati nel dare nuova vita a materiali anche inediti altrimenti destinati alla discarica. Gli occhiali da sole e da vista di Uptitude, marchio made in Trentino, sono ad esempio ricavati dalla plastica e dal legno di snowboard e sci dismessi. Mentre sono le vele abbandonate dopo aver tanto navigato, la materia prediletta per le borse del marchio Relations de voyages.
Dare valore creativo ai materiali poveri e non convenzionali è poi da sempre la cifra stilistica di Maison Margiela. La casa di moda fondata dal belga Martin Margiela che vede oggi alla direzione creativa l’istrionico John Galliano, pesca a piene mani dal mondo dell’arredamento come dello sport, mettendo al servizio della sua moda imbottiture industriali, nylon da calze e tappezzerie come abiti scovati nei mercatini dell’usato, utilizzandoli come base per qualcosa di diverso, seguendo la regola per cui nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma.