Alessandro Penna per Oggi.it, 2 gennaio 2020
1. ‘’IN TUNISIA C’ERANO DUE MADAME CRAXI, IO E ANNA, SUA MOGLIE’’ - INTERVISTA A PATRIZIA CASELLI 2. “IO AMANTE? NO, COMPAGNA. C’ERO IO, E SPESSO DA SOLA, AD HAMMAMET CON CRAXI, NEGLI OSPEDALI, AL TELEFONO CON ARAFAT O A VEDERE DALLA SPIAGGIA GLI AEREI CARICHI DI AMICI O PRESUNTI NEMICI CHE FACEVANO MILLE SCALI PER ATTERRARE DA NOI SENZA ESSERE NOTATI'' 2. ''PER ME NON È ANCORA DIVENTATA UNA STORIA: RESTA UNA FERITA’’ – GLI INCONTRI CON ANJA PIERONI, AMANTE STORICA DI BETTINO, E CON STEFANIA CRAXI - FOTO HOT
«Il racconto degli anni di Hammamet senza la mia voce o la mia versione è quasi per forza un racconto zoppo, mutilato: c’ero io, e spesso da sola, lì con Craxi, negli ospedali, al telefono con Arafat o a vedere dalla spiaggia gli aerei carichi di amici o presunti nemici che, come diceva lui, “facevano il giro dell’Ulanda”, con mille scali, per atterrare da noi senza essere notati o segnalati. Ma io sono contenta di non esser stata coinvolta nel film: in fondo mi hanno tutelato, non ero pronta a parlare di quella storia, perché per me non è ancora diventata una storia: resta una ferita».
Patrizia Caselli è, nell’iconografia un po’ sommaria della Prima Repubblica, la seconda amante di Craxi (la prima, molto più strombazzata, fu Ania Pieroni), la donna che l’ha “sposato” nella cattivissima sorte: un anno di potere, uno di stillicidio giudiziario e sei di latitanza tunisina culminati nella morte per arresto cardiaco, il 19 gennaio del 2000.
59 anni, una solida carriera da autrice e conduttrice in tv, non aveva mai concesso interviste, a parte il lungo racconto rovesciato 13 anni fa nel registratore di Bruno Vespa (che più volte ha detto d’esser uscito da quell’incontro «con le lacrime agli occhi»), finito in un capitolo di L’amore e il potere. Ora che esce Hammamet (il 9 gennaio), il film di Gianni Amelio che racconta il viaggio esemplare dal potere alla polvere del leader socialista, ci concede una chiacchierata che diventa piano piano intervista.
Andrà a vederlo, il film? «Non lo so, non credo di sentirmela. Pensi che, per vie traverse, ho avuto la sceneggiatura, che mi dicono preziosissima, e non l’ho mai neppure sfogliata. La sola idea di trovarci il suo nome, tra le righe, mi paralizzava. Mi sono capitate sotto gli occhi le foto di una scena, e fanno impressione: Favino è, mi passi l’aggettivo adolescenziale, “supersomigliante”. Non vorrei, però, che il film si riducesse a questa specie di clonazione».
Neppure il trailer ha visto? «No. Ripeto: so che sono passati 20 anni, e che il tempo di solito è galantuomo, ma non ho ancora il distacco giusto per godermi quello spettacolo. Mi auto-proteggo».
Non sa nemmeno che la parte dell’amante la fa Claudia Gerini? «Me lo dice lei adesso. Però non mi chieda se mi ci rivedo: “amante” è una parola che non mi inquadra».
E qual è, una parola che la inquadra? «Compagna. Compagna in un pezzo difficilissimo e crepuscolare della sua vita, che però proprio per questo è stato pieno di momenti autentici. Craxi ha reagito alla perdita del potere in modo sorprendente: spogliato del ruolo, della iper-responsabilità, ha ritrovato il gusto delle cose semplici. Tutti lo immaginavano abbarbicato al fax, a difendersi dagli attacchi, a rintuzzare la valanga d’accuse che gli cadeva addosso, ma è un’immagine sfuocata. Me lo diceva spesso anche lui».
Cosa le diceva? «Che, pur nell’esilio, si sentiva liberato. Che la Tunisia era anche una boccata di ossigeno. Mi diceva: “Ho vissuto anni in cui c’era gente che si occupava persino di dove dovevo sputare”. Camminavamo sulla spiaggia, guardavamo l’Italia, mi pizzicava la mano: “Se fossi rimasto laggiù, al potere, queste passeggiate, questa normalità sarebbe stata impossibile. Qui sono tornato a essere una persona”».
Lo sa che Ania Pieroni si è molto indispettita per il film? Pare abbia querelato i produttori di Hammamet perché lei sì, si rivede nella Gerini. «Non la giudico. Anche perché l’unica volta che l’ho incontrata si è dimostrata diversissima da come me l’avevano dipinta».
Quando l’ha incontrata? «Nel 2005, all’hotel De Russie, a Roma. Facevamo colazione nella stessa sala, io l’ho vista, ma non ho fatto un passo: sono discreta, e poi non sapevo come avrebbe reagito».
E siete rimaste così, a guardarvi senza parlare? «No. Lei si è avvicinata, io mi sono alzata e ci siamo come allacciate: “Io e te possiamo solo abbracciarci, abbiamo voluto bene allo stesso uomo”, mi ha detto».
Con Stefania Craxi che rapporti ha? «Strani. Anche lei l’ho incontrata per caso, a casa di amici comuni ed è finita che mi ha pianto sulla spalla, dicendo: “Grazie di esser stata vicina a papà”. Poi, però, alla padrona di casa ha detto: “Se inviti ancora Patrizia, non mi vedi più”. Ma la capisco, era sincera in entrambe le occasioni».
In che senso? «Nel senso che ha dentro una “divaricazione” che non può evitare. Da un lato, sapeva che ogni figura che andava ad Hammamet, compresa la mia, era vitale per Craxi. Dall’altro, non poteva che stare dalla parte della mamma (Anna Maria Moncini, la moglie di Craxi, ndr). Mi spiace solo che non ci siamo mai regalate l’opportunità di sederci da sole a parlare un po’. Vorrei trasferirle cose che mi ha detto di lei suo padre, cose belle: sarebbe giusto ridargliele. Purtroppo, scomparso lui, ci siamo tutti divisi: è stato anche il grande errore dei socialisti».
Che amore fu, quello con Craxi? «Glielo descrivo con i fatti, anzi, con un fatto. Lasciai l’Italia e un contratto in esclusiva con la Rai per seguirlo in Tunisia. Stare con lui – umiliato, deriso, vinto – è stato un “disinvestimento”: per capirlo, dovrebbe aver nitida nella testa, come ho io, la faccia che fece mia madre quando le dissi che mi trasferivo ad Hammamet».
Si giocò la carriera, la reputazione, tutto. «Eppure è stata la decisione più facile della mia vita. L’allora direttore di Rai 2, Giampaolo Sodano, mi disse: “Io ti confermo, ti tengo il posto, magari ci ripensi”. Anche Craxi cercava di frenarmi: “Aspetta ancora un po’, hai la tua vita da vivere, il tuo lavoro, casomai mi raggiungi”. Ma io non ho mai neppure considerato l’idea di non partire con lui».
Quando Craxi morì, lei era a Milano. «Buffo, no? In Tunisia c’erano due Madame Craxi - io e Anna, sua moglie - eppure quando lui ebbe l’attacco aveva accanto solo Stefania. Presi l’aereo, mi misi sulla mia “Peugeottina” rossa, che tengo ancora ad Hammamet, e andai in ospedale».
La leggenda vuole che si fece passare per la figlia. «La storia invece sa che la sua scorta non mi avrebbe mai confuso con Stefania. Mi conoscevano, io conoscevo loro, le loro mogli, il modo in cui scherzavano. Mi fecero passare, si “aprirono”, diventarono un cordone. Mi lasciarono da sola in obitorio con Craxi».
Perdoni l’indelicatezza, ma le due Madame Craxi come facevano a convivere? «I ruoli erano molto chiari, nessuno negava che io esistessi, c’era il massimo rispetto. Spero che il film non ometta questa parte e mostri la classica amante da feuilleton, che arriva di nascosto: sarebbe un’operazione poco chiara. Si viveva, anche, nel rispetto dei luoghi: io me ne stavo in una casa in affitto, evitavo le spiagge che frequentava Anna, il “suo” campo da golf. Ma non pensi che fosse tutta una passeggiata: giravo con l’elmetto e la tuta mimetica, Craxi aveva una scorta tunisina di nove uomini. Il clima era terribile, dall’Italia piovevano continue minacce di morte».
Ci va ancora ad Hammamet? «Sì, mio figlio François (adottato con l’ex marito, il medico Alberto Bossi, ndr) adora quel posto. Vado sempre al cimitero cattolico, che è di una bellezza stupefacente: sul mare aperto, di faccia all’Italia. Vado lì e chiacchiero».
Con chi? «Con Kamel, il custode della tomba di Craxi: lui ci sarà nel film, me l’ha confidato. Kamel mi mostra il libro delle visite, mi fa tradurre le frasi che non capisce, si arrabbia se contengono insulti o con chi si fa i selfie con la tomba come sfondo. Ma io gli dico: “Kamel, vanno lasciate anche le parole brutte, le critiche”».
Che critiche si sente di condividere? Che difetti aveva, l’uomo Craxi? «L’uomo era di enormi sentimenti. Mi creda, anche quando era in disgrazia, ad Hammamet, riceveva tutti, cercava di aiutare tutti: disoccupati, pittori falliti... Forse è vero che il politico era un po’ arrogante, ma era un’arroganza che poteva permettersi. Purtroppo finì per pagare anche arroganze non sue, i veleni di tutto un partito, le storture di tutto un sistema. Lui che era un gigante, così diverso dagli altri, e così superiore, divenne un riassunto, il simbolo della casta. Il film - che temo racconterà la solita storia, vista dal solito punto di vista - potrà forse riaprire un dibattito, ma il dibattito vero dev’essere politico». Cosa si aspetta da quel dibattito? «Anzitutto che restituisca a Craxi la sua grandezza di uomo di Stato. Per difendere l’Italia batteva i pugni sul tavolo di Reagan, andava da Gheddafi e gli diceva: “Se lanci un altro missile su Lampedusa, prendo i miei e li punto tutti contro di te”. Poi magari finiva in abbracci e cous cous, ma la sua collera era credibile, la sua dedizione totale. La cosa più importante, però, è che si faccia luce su quegli anni».
Quali? «Quelli di Tangentopoli. Hanno spazzato via un’intera classe politica, creando un vuoto pericolosissimo: avrebbe potuto occuparlo chiunque. Qual era il disegno? Di chi? Perché ogni sei ore uscivano dossier, avvisi di garanzia? Dobbiamo farci queste domande».
Gliene faccio un’ultima io: perché lo chiama sempre, anche nel ricordo, Craxi? «È un modo di proteggerlo, di non condividerlo. Lui è Bettino solo se ne parlo con gli amici intimi, lui è Bettino solo dentro di me».