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 2020  gennaio 02 Giovedì calendario

Intervista a Rita Guarino, allenatrice della Juventus femminile

Nuovo decennio ed è quello in cui vanno abbattuti i pregiudizi, anche nel calcio. Nel 2019, la scossa del movimento femminile, ora Rita Guarino, allenatrice della Juventus, racconta come si è arrivati qui e cosa non può mancare per andare avanti. 
Tre anni fa la Juventus Women è nata da «un foglio bianco». Parole vostre. Come si inventa una squadra che cambia il panorama?
«Non dal niente, la Juve ha iniziato con motivazioni forti. Non è mai stato un esperimento o un tentativo ma un’idea chiara. La forza di un brand sta anche nel riempire un foglio bianco e non è solo di disponibilità economica, ma progettualità e lungimiranza».
Da dove siete partiti? 
«Da pedine con talento tecnico e qualità umane»
Doti necessarie?
«Sì, sempre e ancor di più quando miri in alto».
Quanto il calcio femminile di oggi è parente di quello che giocava lei nei Novanta? 
«Parente stretto. Dobbiamo molto a chi si è tenuto a galla e ha combattuto battaglie importanti investendo in proprio. L’Italia è sempre stata un bacino di talento».
Nonostante gli anni bui?
«Ho partecipato a due Mondiali prima del vuoto».
Non hanno generato interesse perché non eravamo socialmente pronti?
«L’attenzione mediatica c’era, le partite andavano in diretta Rai, ma poi nessuno ci ha costruito sopra».
Quindi si poteva evitare di perdere tutti questi anni?
«Certo. La differenza l’hanno fatta i club, allora c’era la volontà, ma serve chi la elevi a mestiere e in Italia la Juve è stata il motore propulsore. Ha trainato visibilità ed emulazione»
Che cosa l’ha più stupita?
«Vedere l’Allianz pieno contro la Fiorentina l’anno scorso. Sarei stata felice di avere 15.000 spettatori. È stato il presidente a decidere di aprire tutti i settori ed era sicuro di sé». 
Le tante bianconere ai Mondiali sono tornate diverse?
«Ovvio, quell’esperienza ha galvanizzato l’ambiente. È stata un’estate epocale dal punto di vista socioculturale, una partita che però non è vinta. Bisogna giocarsela».
Tanti tirano ancora il freno.
«Lo scetticismo è sempre lì, però il calcio femminile può trovare terreno dove il lato maschile fatica. Non vedo tante famiglie a seguire gli uomini, da noi ci sono, mentre il calciofilo italiano fatica a trovarci interessanti».
Non lo si vuole conquistare?
«Con calma. Hanno un occhio abituato alla presenza fisica, cercano l’occupazione degli spazi e si approcciano con preconcetti».
Lei guarda il calcio maschile?
«Sì, cerco partite dove c’è strategia, allenatori che provano strade nuove».
Ultima sfida strategica?
«Mi piace il lavoro che sta facendo Gasperini all’Atalanta, è un metodo che mette in luce i giovani, propone qualcosa di fresco. Il calcio, tutto, ne ha bisogno».
Chi la intriga dal punto di vista tecnico?
«A livello didattico uno che ho sempre seguito è Sarri e gliel’ho pure detto. A me oggi però piace studiare il femminile. Le donne sono favorite nel gioco corto ed esaltano la tecnica, non il lato fisico». 
Sara Gama è diventata un punto di riferimento per il movimento, si confronta con lei?
«Spesso. Non è stata scelta a caso come leader. Sapevo quali valori portava e quanto potesse renderli produttivi».
Come gestite il suo ruolo? 
«Proviamo a toglierle qualche peso dalle spalle, è impegnata su più fronti ed è giusto così. Anche se ci sono volte in cui, lei per prima, ha bisogno di far valere il campo».
La britannica Aluko ha lasciato la squadra e ha detto che a Torino non si è sempre sentita a proprio agio.
«Purtroppo non avevo idea del suo stato d’animo e non so se si tratta di percezioni o di fatti, non c’è stato modo di confrontarsi. Se avessimo saputo l’avremmo sostenuta».
Percezioni o fatti, lei qui non stava bene. 
«Non è lo stesso. Se io vado in Inghilterra, di certo mi sento giudicata per il mio accento, magari invece non è così. Comunque la discriminazione su vari fronti è una battaglia da sostenere, siamo lontano dall’accettare davvero la diversità. Il problema non è Torino e forse nemmeno l’Italia. Torino è la città dove sono nata, la conosco bene, ha gli stessi problemi di ogni posto d’Europa eppure negli anni si è aperta ed cambiata. Io ne sono fiera».
Ha parlato di diversità. Una giocatrice della nazionale, Linari, ha detto di essere gay e trova che in Italia sia ancora un tabù.
«Non sono stupita, ma non ho mai ritenuto che la vita privata potesse essere la bandiera di qualsivoglia diritto, è una scelta personale. Si può essere veri anche senza raccontare l’intimità, non è da lì che si passa per la rivoluzione culturale».
I modelli però aiutano.
«Stanno nel quotidiano, persone che incontriamo, non per forza nomi noti».
La sciagurata frase sulle «quattro lesbiche» quanto male ha fatto?
«È stata una fortuna. Il presidente della lega dilettanti che se ne esce così... Era talmente abnorme da imporre una reazione. È stata una manna, la domanda vera è quanto ci avremmo messo ad arrivare dove siamo senza la frase?».
La legge di bilancio propone un emendamento che può aiutare il professionismo delle donne nello sport.
«È un passo, non la soluzione. Mancano troppe tappe intermedie per poterlo considerare l’inizio del professionismo».
È la prima offerta concreta. Prendere o lasciare.
«Se prendo e poi si fanno le fondamenta e lasciamo l’opera con uno spuntone di ferro piantato lì? È un rischio. La sostenibilità economica la crei con un movimento maturo che cresce costantemente».