Corriere della Sera, 2 gennaio 2020
Il segreto di passo Dyatlov
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Avevano quasi tutti tra i venti e i venticinque anni. Dopo nove giorni di marcia nella neve in mezzo agli Urali, che dividono la Russia europea dalla Siberia, si accamparono sotto una montagna in una notte di febbraio del 1959. E non diedero più alcun segno di vita. Dopo mesi, i loro corpi vennero ritrovati sotto la coltre bianca, sparpagliati in un raggio di centinaia e centinaia di metri. Morti per ipotermia, qualcuno con il torace schiacciato da una forza sovrumana; due con il cranio fracassato. Con 26 gradi sotto zero, due ragazzi erano usciti dalla tenda a piedi nudi e in calzamaglia.
Un mistero che si trascina ancora e che potrebbe forse trovare una soluzione in questo 2020 quando la Procura che ha deciso pochi mesi fa di riaprire le indagini farà conoscere le sue conclusioni. La pressione dei parenti delle vittime continua a farsi sentire: nelle ultime settimane hanno anche scritto direttamente al presidente Putin.
Cosa o chi ha provocato la tragedia del passo Dyatlov? In sessant’anni le teorie più disparate si sono susseguite, ma nessuna è riuscita a spiegare pienamente l’accaduto. Un massacro eseguito da un gruppo di abitanti locali, i pacifici Mansi? Nell’area non furono trovate altre impronte oltre a quelle dei nove studenti. Una valanga? Gli investigatori che condussero l’indagine nel 1959 non trovarono alcun segno di un simile evento, non un albero abbattuto, niente; e poi in quel posto preciso non c’erano mai stati fenomeni del genere. L’attacco da parte di una specie di yeti siberiano di cui si è sempre favoleggiato? Nessuno ne ha mai visto né fotografato nemmeno le tracce. Un esperimento militare segreto? L’apertura di una nuova indagine sembra far escludere questa ipotesi, anche se molti ci credono ancora.
Alla fine di gennaio i nove giovani si misero in marcia nella tajga. Provenivano tutti dall’istituto universitario di Ekaterinburg ai piedi degli Urali dove nel 1918 venne sterminata la famiglia imperiale (e che fino al crollo dell’Urss portava il nome di Sverdlovsk, il bolscevico che ordinò il massacro per conto di Lenin). Per giorni tutto procedette regolarmente, fino a quando nella notte del primo febbraio furono costretti ad accamparsi in fretta e furia a causa di una tempesta di vento e di neve. Sistemarono la loro base sotto una cima dal nome infausto, Kholatchakhl («montagna dei morti»). Poi solo supposizioni.
La tenda venne trovata tagliata dall’interno, come se qualcuno avesse voluto fuggire di corsa. Due dei ragazzi furono ritrovati a quasi un chilometro di distanza scalzi e con indosso solo la biancheria termica. Morti di freddo. Poco più lontano Igor Dyatlov, lo studente che aveva organizzato il viaggio (al quale è stato intitolato il passo della tragedia) assieme ad altri due. Stavano forse tornando alla tenda, ma il gelo li aveva sopraffatti. Gli ultimi quattro erano finiti in un burrone.
La Procura ha per ora escluso eventi straordinari. Si indaga solo su possibili cause naturali: una slavina, un uragano o una valanga di neve compressa. Ma così si riuscirà veramente a risolvere l’enigma?