La Stampa, 30 dicembre 2019
Comprano calcio per comprare città d’arte
Da James Pallotta a Dan Friedkin: la Roma cambia proprietà, la proprietà non cambia bandiera. Continua il sogno americano, anzi si riaccende dopo anni duri, progetti incompiuti e ambizioni soffocate, incomprensioni e contestazioni. Non è una coincidenza, probabilmente: i magnati d’oltreoceano che decidono di investire nel nostro calcio, al netto di personali passioni o intime nostalgie, di praticissimi calcoli sul business degli stadi, si lasciano guidare dall’amore per l’arte di cui grondano alcune nostre città, simboli di un Paese amato in tutto il mondo, meta imprescindibile d’un turismo che pure diventa sempre più globale e pretenzioso. E Roma è sempre Roma, ai nostri occhi nonostante i problemi quotidiani e figurarsi a quelli di chi vive negli States, abbaglia con una bellezza senza tempo più forte d’un degrado che non possiamo negare.
La Capitale è arte, storia e cultura, monumenti da visitare sopportando giuste code e scorci da scoprire semplicemente passeggiando, è memoria imponente, è dolce anche senza più Dolce Vita, è Storia che si respira a ogni angolo, è meraviglia che affiora a ogni scavo. Sì, è così per noi che pure spesso la osserviamo attraverso vetri d’auto paralizzate o di mezzi pubblici traboccanti, lamentandoci per buche che si aprono e rifiuti che si accumulano, tremando a ogni acquazzone, figurarsi per chi, da laggiù, la immagina circondata da un alone magico, fluttuante dentro una bolla che tiene fuori ogni guaio e rimanda solo la luce di opere e vestigia, di grandi uomini del passato e di grandi monumenti che attraverseranno il futuro. Acquistare la Roma significa investire nel grande calcio, ma anche sfruttare un marchio straordinario e senza eguali, conosciuto in ogni sperduto villaggio del pianeta, mai bisognoso di pubblicità.
Verità spiccia che invoglia all’affare, non priva però di un tocco di romanticismo. La controprova? L’attrazione fatale che i magnati americani hanno anche per le altre città simbolo della nostra arte. Ai vertici del Venezia, ormai da quattro anni, c’è Joe Tacopina, transitato in precedenza da Roma con la primissima cordata americana che faceva capo a Thomas Di Benedetto, e da Bologna. E la Fiorentina, da pochi mesi, è in mano a Rocco Commisso, solide radici italiane, senso degli affari e tanto cuore. Un fondo americano, Elliott, possiede anche il Milan: eccezione apparente perché la città più che di arte vive di moda, comunque la forza del made in Italy.