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 2020  gennaio 01 Mercoledì calendario

Che fine farà il putinismo

Oggi, nel ventesimo anniversario della sua ascesa al Cremlino, il dilemma per Putin è come far sopravvivere il Putinismo a se stesso quando nel 2024 scatterà il limite costituzionale dei due mandati.
L’escamotage utilizzato nel 2008, quando Putin cedette temporaneamente la presidenza al vassallo Dmitri Medvedev, tenendo per se il ruolo di premier, non funzionerebbe più oggi. Allora era tutto diverso per la semplice ragione che il Putinismo ancora non esisteva: era già nella mente di Putin, ma non ancora realizzato nella pratica. Sono state le Olimpiadi invernali di Sochi il cantiere che ha permesso di costruire quello che uno dei maggiori esperti di economia sovietica e post-sovietica, Anders Aslund, ha definito «il capitalismo clientelare della Russia», cioè «il passaggio da un’economia di mercato a una cleptocrazia».
Putin aveva progettato il cantiere addirittura nel 2007, quando aveva creato Olimpstroi, un comitato il cui nome derivava da una crasi tra Olimpiadi e costruzioni (in russo stroitelstvo). Lo aveva messo a punto mentre agiva nell’ombra di Medvedev. Nel 2012, quando tornò presidente, il progetto divenne operativo, o comunque visibile anche agli osservatori stranieri. Attraverso una ragnatela di appalti e subappalti, una montagna di soldi è finita nelle tasche degli amici di Putin, e degli amici degli amici: almeno 10 miliardi di dollari, secondo una nota del Tesoro americano del 20 marzo 2014, nella quale i fratelli Rotenberg venivano indicati come i maggiori beneficiari “di un’enorme ricchezza attraverso i contratti per le Olimpiadi”. Ma la cascata di miliardi olimpici investì tutto l’ inner circle dello zar, compreso il suo famoso “cuoco” Evgenij Prigozhin, che gestisce una società di mercenari, la Wagner ora operativa anche in Libia, e un’agenzia di “fake news”, la Internet Research Agency, con sede a San Pietroburgo: due leve fondamentali per l’espansionismo russo nel mondo.
Con gli appalti di Sochi Putin ha consolidato quel capitalismo clientelare, che si basa sulle elargizioni dello zar, ma del quale egli stesso è il primo beneficiario (secondo le stime più attendibili la sua ricchezza personale è valutata tra i 100 e i 160 miliardi di dollari, una cifra mostruosa).
E così, sull’onda di Sochi, Putin ha consolidato il terzo dei cerchi concentrici che costituiscono il Putinismo.
Il primo è quello dei “silovki”, gli uomini che controllano le forze armate, gli apparati della polizia e della sicurezza.
Il secondo è quello dei boiardi di Stato, alla guida dei grandi conglomerati delle fonti energetiche e minerarie.
Il terzo è appunto quello del crony capitalism, il capitalismo clientelare, cominciato negli anni di San Pietroburgo con una piccola banca, la Bank Rossiya, e qualche inquietante legame con la mafia locale, ed esploso con il trionfo miliardario degli appalti di Sochi.
Putin si preoccupa che questo sistema si perpetui. A differenza dei figli degli oligarchi del passato, espatriati per studio e raramente tornati in patria, i figli della nuova nomenklatura russa fanno carriere mirabolanti nelle aziende e nelle banche di Stato coprendo cariche di prestigio e ben remunerate a meno di trent’anni.
Qualche esempio di un lungo elenco: ancora i figli dei soliti Rotenberg in Gazprom, quelli di Nikolaj Shalamov, intimo di Putin sin dai tempi di San Pietroburgo, nel più importante fondo pensioni della Russia, per finire con il figlio di Igor Sechin, uno degli uomini più potenti dell’ inner circle del Cremlino, che a 25 anni è già vice direttore di un dipartimento a Rosneft.
Ma proprio questa natura clientelare, quasi mafiosa, del Putinismo è la ragione della sua debolezza. Al di là di questo sistema di cerchi concentrici Putin non ha costruito nulla per il futuro della Russia. In qualche modo ha ricostruito il partito unico, come ai tempi del Pcus, basandolo anziché sull’ideologia sulla consorteria. Perciò questi ultimi anni di Putin ricordano paradossalmente gli ultimi di Breznev. Ma se lo zar non riesce a succedere a se stesso, è difficile che compaia un nuovo Gorbaciov. Più probabile che arrivino anni di turbolenze, come nel peggior periodo di Yeltsin.