Corriere della Sera, 31 dicembre 2019
Su Cime tempestose
Catherine e Heathcliff, i protagonisti di Cime tempestose, il romanzo di Emily Brontë nel quale è narrata la storia d’amore più sconvolgente che sia mai stata scritta, hanno diciassette e diciotto anni quando, a circa un terzo del libro, accade il fatto capitale per lo svolgimento dell’intera vicenda. Siamo, alla fine del Settecento, nelle desolate brughiere dello Yorkshire: paludi che d’inverno gelano, colline battute dai venti del nord (del libro è appena uscita la traduzione di Monica Pareschi per Einaudi). Catherine è la figlia del signor Earnshaw, padrone ormai defunto della fattoria chiamata Wuthering Heights: una ex monellaccia scatenata, con un cuore grande; Heathcliff è l’ex trovatello dalla pelle olivastra, nero di capelli, torvo e paziente nei confronti di chi lo maltratta e lo insulta, che il signor Earnshaw ha incontrato nei bassifondi di Liverpool e ha portato con sé nella casa, allevandolo come un figlio. Catherine si è subito affezionata a questo ragazzino ignorante, rozzo e scontroso; Heathcliff l’ha ricambiata col medesimo, morboso affetto.
I due sono cresciuti insieme come selvaggi nella brughiera: felici, liberi, isolati rispetto agli abitanti della fattoria, e del vicinato. Ma Heathcliff continua a covare un rancore oscuro: nei confronti di Hindley, il fratello debosciato di Catherine; nei confronti di Edgar Linton, il signorino ben educato, biondo e ricco che abita nella dimora di Thrushcross Grange, lontana quattro miglia da Wuthering Heights; nei confronti di chiunque. Invano Nelly, la governante alla quale è affidato il racconto, lo supplica: «Impara a spianare quelle rughe scontrose e trasforma i demoni in angeli innocenti e fiduciosi... Via quella faccia da cagnaccio rognoso che sa di meritare tutti i calci che prende e odia chi glieli infligge e il resto del mondo». Lui, ha il nero dentro: l’oscurità dalla quale proviene. Odia. Nutre pensieri di vendetta. L’unico essere umano che ama è Catherine.
Un giorno, Catherine fa a Nelly, con la quale crede di essere sola nella stanza – mentre invece non lo è, perché Heathcliff si è nascosto dietro un mobile – una lunga confidenza: Linton l’ha chiesta in matrimonio e lei ha deciso di sposarlo. È una cosa strana, questa, per noi lettori che conosciamo il legame che ha con il ragazzo selvaggio; se consideriamo le convenzioni sociali dell’epoca, niente affatto. Tuttavia, Catherine ha forti dubbi: come appare dall’interrogatorio al quale la sottopone Nelly. «Sì – risponde – lo amo Linton». Ma non è vero per niente. Infatti, tutto a un tratto, esplode. E dice: «Oggi sposare Heathcliff sarebbe degradante per me, e dunque lui non saprà mai quanto lo amo: e non perché sia bello, Nelly, ma perché lui è me più di quanto lo sia io. Di qualunque cosa sono fatte le nostre anime, la sua e la mia sono uguali». Nelly è interdetta. Se ti sposi – la avverte – Heathcliff dovrai abbandonarlo. «Lui abbandonato!» esclama indignata Catherine. «Noi separati! E chi potrebbe mai separarci se è lecito? Non finché avrò vita... Per nessuna creatura mortale. Il mio pensiero più alto nella vita è lui. Se tutto il resto andasse distrutto, e rimanesse lui, io continuerei a esistere, e se rimanesse tutto il resto, e lui fosse spazzato via, per me l’universo si trasformerebbe in un grande estraneo».
Nessuno, dopo Platone, ha scritto sull’amore parole più estreme di queste. Nessuno ha mai ricevuto una dichiarazione d’amore così assoluta come quella che Catherine conclude con il meraviglioso paragone che coinvolge la natura e il tempo: «Linton è come il fogliame dei boschi che il tempo muterà, lo so bene, così come l’inverno muta gli alberi; il mio amore per Heathcliff somiglia ai massi eterni che stanno sotto». Non la riceve neppure il ragazzo al quale è dedicata. Infatti, dopo aver ascoltato la parola «degradante», si tappa le orecchie, sguscia fuori della stanza e sparisce. Catherine si dispera: lo aspetta tutta la notte all’aperto, nella tempesta, e si ammala. Poi, tre anni dopo, sposa Edgar e diventa la signora Linton.
Ma il romanzo non è finito. Deve ancora raggiungere il suo culmine. Una notte Heathcliff riappare, a Thrushcross Grange, dove Catherine si è trasferita e aspetta un figlio. Si stacca dal buio e avvicina Nelly che sobbalza: negli occhi infossati si annida una ferocia primitiva. È la ferocia della vendetta che ha in animo di compiere impossessandosi di tutti i beni di chi lo ha maltrattato e respinto; e quella del desiderio. L’incontro fra i due è straziante: lei rimprovera a lui di averlo dimenticato; lui fa lo stesso. Entra Linton e si infuria: colpisce Heathcliff alla gola e lo caccia di casa. Quindi si rivolge a sua moglie e come quando nel battesimo il sacerdote domanda: «Rinunci a Satana?», le chiede: «Rinunci a Heathcliff? Dimmelo subito, ora». Catherine, in preda a una crisi isterica, digrigna i denti, prende a testate il bracciolo del divano, straparla, minaccia il suicidio, si sente soffocare in una bara e, rivolgendosi a Heathcliff che crede di avere accanto, gli grida: «Possono anche seppellirmi sotto tre metri di terra, ma io non avrò riposo finché tu non sarai con me!».
Passa qualche tempo, e a nulla valgono le proibizioni di Linton che intende non far incontrare mai più Catherine e il Demonio. Il Demonio scrive una lettera che consegna alla governante imponendole di farla leggere a Catherine. Lei, malata, folle, alle soglie del parto, la legge e si trasfigura. Emily Brontë la descrive in questo modo: bella di una bellezza soprannaturale, con gli occhi che scrutano lontano, colmi di una malinconica, trasognata dolcezza. E intanto, non riuscendo a resistere, Heathcliff è entrato nella casa. L’abbraccio è convulso. Lui le dice: «Perché hai tradito il tuo stesso cuore, Cathy? Tu mi amavi, quale diritto avevi di lasciarmi? Non sono stato io a spezzarti il cuore, sei stata tu a spezzarlo da sola, e col tuo hai spezzato anche il mio». Lei, in singhiozzi, gli dice: «Lasciami perdere, se ho sbagliato sto pagando con la morte». Ma quando lui si scioglie dall’abbraccio gli strappa un ciuffo di capelli: «No! Non andare. È l’ultima volta!». La stessa notte nasce una bambina. Due ore dopo, Catherine muore. Heathcliff è in cortile. Nelly gli comunica che Catherine è morta. Lui le chiede se prima di morire lo ha nominato mai. Nelly gli risponde che è morta senza avere coscienza. Lui dice: «Dov’è? Dov’è ora? Catherine, possa tu non avere riposo finché io vivo. Torna a perseguitarmi se sono stato io a ucciderti. Rimani con me per sempre. Fammi impazzire. Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti». Poi sbatte la faccia contro il tronco di un albero e urla non come un uomo, ma come una bestia portata al macello. Quindi, la notte stessa del funerale va a scavare con le mani nella fossa per creare lo spazio in cui saranno vicini per sempre.
L’abisso è quello di cui parla Virginia Woolf. Secondo Virginia, l’amore di Cime tempestose non è fra uomo e donna: «Emily rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riempirlo in un libro». È la medesima spaccatura di Sotto il vulcano, il capolavoro di Lowry. E di Menzogna e sortilegio, il romanzo di Elsa Morante in cui si narra la storia di un amore impossibile, quello di Anna per l’aristocratico cugino Edoardo, destinato a conficcarsi nel grembo duro della terra.