la Repubblica, 31 dicembre 2019
Jonhson mette al bando la Brexit (solo la parola)
L’anno nuovo induce a nuovi propositi e Boris Johnson, per facilitare il suo staff, ne ha coniato uno collettivo dal sapore vagamente orwelliano: mettere al bando una parola. Infatti dal 31 gennaio prossimo, la data già prevista per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, diventata una certezza dopo molteplici rinvii, a seguito del trionfo alle urne del leader conservatore il 12 dicembre scorso e dell’immediato voto a larga maggioranza del parlamento per approvare l’accordo da lui precedentemente negoziato con la Ue, tutti i funzionari del suo governo non potranno più dire “Brexit”.
Il termine che dal referendum di tre anni e mezzo fa, e ancora da prima tenuto conto della campagna referendaria, è diventato il tormentone della politica britannica, acronimo come ormai tutti sanno di “Britain exit” (sottinteso: dall’Europa unita), verrà formalmente vietato. Il Department for Exiting the European Union, ribattezzato universalmente “ministero della Brexit”, che da un palazzone adiacente a Downing Street ha condotto fino a questo punto i negoziati con Bruxelles, sarà smantellato e abolito. La trattativa sul futuro delle relazioni fra Londra e il continente verrà affidata a una squadra denominata banalmente Task Force Europe. E da quel momento l’intero personale governativo, i membri del partito di governo, i deputati dei Tories, dovranno stare bene attenti a non pronunciare più la parolina proibita di sei lettere.
Riferiscono le indiscrezioni che la decisione è maturata nell’euforia delle due settimane fra la vittoria alle urne e le vacanze di Capodanno. Prima di partire per le ferie sull’isola vip caraibica di Mustique con la fidanzata Carrie Symonds, il primo ministro si è riunito con i suoi più stretti collaboratori. Sembra che l’idea di cancellare la Brexit dal vocabolario sia frutto del suo guru, stratega e consigliere più influente: Dominic Cummings, soprannominato il Rasputin di Downing Street. «Adesso che hai stravinto le elezioni», pare che Cummings abbia detto a Johnson, «puoi finalmente concentrarti sul progetto che più ti sta a cuore, l’iniziativa a cui certamente hai pensato dall’istante in cui la televisione ha trasmesso il primo exit poll: essere rieletto».
Così da restare al potere non cinque ma dieci anni o più ed entrare definitivamente nella storia della Gran Bretagna come uno dei tre leader di maggiore successo, almeno dal punto di vista elettorale (Margaret Thatcher e Tony Blair sono gli altri due). Per riuscirci, il prode Boris dovrà superare vari ostacoli, dalla minaccia di recessione al pericolo della disunione nazionale, con Scozia e Irlanda del Nord che, con la scusa di restare nella Ue, tenteranno la strada dell’indipendenza. Ma il primo e più importante criterio per sperare di venire rieletto nel 2024 sarà avere mantenuto la promessa della sua campagna elettorale: “Get Brexit done”. Fare la Brexit. E niente dimostrerà di averla mantenuta meglio della scomparsa della parola stessa dal pubblico dibattito.
Naturalmente la Brexit non scomparirà tanto presto né definitivamente. Pur ufficialmente fuori dalla Ue, il Regno Unito continuerà a farne parte, senza che nulla cambi, fino al 31 dicembre 2020, attuale scadenza della fase di transizione. E i problemi suscitati dal divorzio dall’Europa resteranno oggetto di negoziati molto più a lungo. Ma la politica è l’arte dell’illusione. Cummings e Johnson capiscono che, dopo anni in cui non hanno sentito parlare d’altro, gli inglesi hanno bisogno di una pausa. Perciò metteranno al bando la Brexit. Se non proprio la cosa in sé, perlomeno la parola.