La Stampa, 31 dicembre 2019
Il punto sull’Algeria dopo la morte di Ahmed Gaïd Salah
Con la morte di Ahmed Gaïd Salah, il capo dell’esercito algerino, addestrato alla scuola sovietica, dodici giorni dopo l’elezione di un presidente della repubblica in condizioni denunciate da centinaia di migliaia di manifestanti, l’Algeria passa da un periodo di protesta pacifica a un periodo di confusione e attesa.
Queste elezioni furono volute e guidate da questo generale che era stato nominato capo di stato maggiore nel 2004 dall’ex presidente Bouteflika. È sempre lui che alla fine costringerà questo malato a rinunciare per la quinta volta alle elezioni presidenziali e a dimettersi.
Di conseguenza, era diventato l’uomo forte dell’Algeria.
Governato dai militari dopo l’indipendenza nel 1962, questo Paese ha conosciuto nei primi Anni 90 un’atroce guerra civile che ha segnato la stragrande maggioranza della popolazione. Quelli che scendono in piazza ogni venerdì, sono giovani e per lo più non hanno conosciuto il periodo in cui il Paese ha dovuto combattere contro una guerriglia islamista che ha causato duecentomila morti tra la popolazione civile.
Dallo scorso febbraio, ogni venerdì, gli algerini hanno manifestato dignitosamente per dire no al sistema «militar-affarista», responsabile della situazione di deterioramento economico e in particolare della diffusione della corruzione.
Gaid Salah era considerato dai dimostranti come il rappresentante del «sistema». Abbiamo sentito gli algerini gridare «Gaïd Salah vattene»; uno stendardo dispiegato dai manifestanti diceva: «Il popolo e l’esercito sono fratelli, ma Gaïd Salah è con i traditori». L’umorismo algerino ci ricorda che «se tutti i Paesi hanno un esercito, in Algeria, l’esercito ha un Paese!».
Per il movimento Hirak, l’elezione di Abdelmadjid Tebboune (con oltre il 60% di astenuti), è una cospirazione orchestrata da Gaïd Salah in modo che nulla cambi nel «sistema» e che l’esercito continui a governare il Paese. Ecco perché la piazza non riconosce la legittimità di questo nuovo presidente. Non appena è stato eletto, Tebboune ha consegnato a Gaïd Salah la medaglia dell’Ordine al merito, un modo per ringraziarlo e anche per inviare un messaggio ai manifestanti, dicendo che è l’esercito che rimane al comando.
Questo esercito sembra solido e non ha mostrato alcuna divisione al suo interno. Sa che cedendo alle contestazioni della piazza che non si arrende, dovrà rendere conto di una parte del denaro derivante dalla manna del petrolio e del gas di cui ha beneficiato. Ecco perché resiste e resisterà. Gaid Salah è stato immediatamente sostituito dal generale Said Chengriha, capo di stato maggiore della fanteria, che a quanto pare non cambierà la linea dura adottata dal suo predecessore. Il nuovo presidente ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Questo dimostra quanto il sistema non abbia intenzione di cedere alle richieste dei manifestanti.
Vedremo come si comporteranno i nuovi leader dell’Algeria contro l’Hirak. Repressione dura (come aveva già iniziato a fare Gaïd Salah arrestando i manifestanti) o mano tesa per un dialogo?
La Tunisia e il Marocco stanno seguendo da vicino gli eventi dell’Algeria. Il re del Marocco, nel suo messaggio di congratulazioni al nuovo presidente, ha chiesto l’apertura di una nuova pagina tra i due Paesi i cui confini sono chiusi dal 1995. Da oltre quarant’anni l’Algeria contesta al Marocco il Sahara occidentale, territorio marocchino occupato fino al 1975 dalla Spagna.
È questo conflitto, gestito in via prioritaria dall’esercito algerino, che impedisce la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi e che blocca la costituzione di un Maghreb unito, che rappresenterebbe una forte entità economica e culturale di fronte all’Europa. Nel 2016, il nuovo capo dell’esercito in un discorso ha definito il Marocco «un Paese nemico». Questo non è di buon auspicio. Apparentemente, il nuovo presidente non ha risposto alla mano tesa del Marocco. In realtà, non è lui ad avere voce in capitolo, ma le decisioni di questo tipo ricadono sotto il potere assoluto dei militari.
Secondo lo scrittore e giornalista algerino Mohamed Sifaoui, (Le Figaro del 24 dicembre) «la cosa più importante da ricordare è che la morte di Gaïd Salah non cambierà la natura del regime: illegittimo, odiato, rifiutato, frammentato e alla fine agonizzante». Tutto dipenderà anche dalle manifestazioni del venerdì.
Nonostante la repressione e l’arresto di 200 persone, sembra che il popolo algerino non abbia intenzione di smettere, dopo 42 settimane di protesta, di chiedere la libertà e la vera democrazia.
Traduzione
di Carla Reschia