il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2019
Biografia di Ivan Graziani, raccontata dalla moglie
Ivan Graziani è stato uno dei più grandi musicisti che abbia mai avuto l’Italia. L’affermazione, in sé persino banale, suona per alcuni financo eccessiva. Che follia: Ivan è stato il primo a unire cantautorato e rock negli anni affollati (di idiomi & cazzate) dei Settanta, quando anche solo pensare di farli incontrare costituiva eresia. Non era un cantautore barboso e politicizzato: per questo non pochi tromboni duropuristi gliela giurarono. Chitarrista sopraffino, come dimostra anche solo “Il topo nel formaggio” in ogni esecuzione live che ci ha regalato, Ivan sapeva al contempo accompagnare e rifinire. Ora prediligeva l’assolo e ora sapeva fare un passo indietro. A cavallo tra Settanta e Ottanta è stato baciato da una smisurata supernova di talento. Gli riusciva tutto. “I lupi”, “Pigro”, “Agnese dolce Agnese”, “Viaggi e intemperie”: quattro dischi clamorosamente perfetti. È stato il suo apice, ma chi dice che poi non abbia scritto nulla o è scemo o disonesto (e anche “solo” “Ivangarage” sta lì a dimostrarlo). Rivoluzionario atipico e pioniere sui generis, non ha mai avuto nulla di canonico: voce, look, origini, apprendistato. Era e resterà unico. Un cane sciolto, o per meglio dire un lupo abruzzese. Molti giornalisti devono ancora capirlo, e qualcuno (mai stato baciato da qualsivoglia talento) gli ha pure rovinato un po’ la vita. Basta il finale di “Olanda” per sognare, basta il riff di “Motocross” per trasecolare, basta “Fuoco sulla collina” per gridare una volta per tutte al capolavoro. Nelle sue canzoni c’è l’ironia, c’è il sesso, c’è la follia. E c’è poi quel suo esser sempre fottuto di malinconia. L’Italia è piena di geni dimenticati e fraintesi, scoperti troppo tardi o addirittura in attesa d’esser compresi appieno. È uno dei nostri classici, è una delle nostre croci. Nulla di nuovo. Ma con Ivan Graziani stiamo esagerando: avere un occhio di riguardo per il nostro chitarrista, più che un dovere, dovrebbe essere un’attitudine naturale. Quasi come respirare.
Ivan Graziani vanta almeno due record. Uno splendido e l’altro imperdonabile. È stato il primo cantautore rock italiano ed è uno degli artisti più sottovalutati d’Italia. Da qualche anno, finalmente, qualcosa si muove. I tributi dei figli Filippo e Tommy, gli spettacoli teatrali. E un film a lui dedicato in uscita l’anno prossimo. Nessuno però potrà mai parlarne come Anna Bischi: la donna della vita.
Come vi siete conosciuti?
A Urbino. Facevo la prima superiore di Grafica e stavo con un fidanzatino più grande di me. Gelosissimo. Un giorno mi porta al cinema e incontriamo un tipo. Il fidanzatino mi dice: ‘Questo è Ivan Graziani, fa il musicista, spesso mi scambiano con lui’. Io: ‘No no, l’originale è molto meglio’. Lì ho deciso che volevo stare con Ivan.
E così è stato.
Era il 1965. Ivan aveva cinque anni più di me e a Urbino era già un divo. Dopo alcune uscite, una sera mi dice: “Va be’, io me ne vado”. Io: “Ma vai dove?”. Lui: “Senti, o andiamo a letto insieme o me ne vado”. Io ci pensai un po’ e dissi: “Va bene, vengo a letto con te”. È stata la nostra prima volta. All’inizio ogni tanto scappava. Mi diceva: ‘Tu sei pericolosa, io di te mi posso innamorare’. Poi non è scappato più. E siamo stati insieme tutta la vita. A volte arrivo a sperare di scoprire oggi dei suoi tradimenti, giusto per sentire forse un po’ meno la sua mancanza. Macché. Per lui la famiglia era tutto.
Com’era da ragazzo?
Com’è sempre stato: un leader nato e un lupo abruzzese. Ombroso, alla James Dean. Se ne stava in disparte e osservava molto le persone. Si fidava poco, anzitutto dei discografici, e l’ha pagata. Testardo. Zuccone. Con un senso dell’umorismo straordinario.
Sin dagli esordi ebbe il coraggio di dire molti “no” coraggiosi. A Mogol, alla Pfm.
Alla Pfm disse no perché loro avevano una strana idea di società, in base alla quale la gestione era tutta in mano alla moglie di Franz Di Cioccio. Anche Mauro Pagani andò via per quello. Le mogli litigavano, si prendevano per il collo. Era una situazione pesante. E poi Ivan diceva: ‘Ma come? Io devo suonare e comporre, e poi mi pagano come uno dei tanti?’
Per Lucio Battisti suonò la chitarra ne “La batteria il contrabbasso eccetera”.
Per caso. Lucio stava ultimando il disco. Si affacciò e sentì uno che suonava la chitarra nel corridoio. Chiese al discografico chi fosse: “Boh, è uno abruzzese, dicono non sia male”. Lucio lo scelse subito. Si sono sempre stimati molto, ma Lucio era molto schivo e trattenuto. Difficile frequentarlo fuori dalla musica. Però nello studio ‘Il Mulino’, dove si registravano i dischi, si viveva come in una comune. Tutti insieme, ognuno portava i figli. Ricordo tante cene con Battisti e sua moglie.
Zero, Venditti, De Gregori.
Renato era un amico vero. Fino alla fine. Ivan dormiva spesso a casa sua, dopo aver registrato a Fonopoli. Lo sento ancora spesso. Vale lo stesso per Antonello. De Gregori no. Tra lui e Ivan ci fu una grande litigata in un locale di Rimini, mi pare per un’idea diversa di musica, e non c’è mai stata una ricucitura definitiva. De Gregori è sempre stato un po’ “masticone”. Credo che non abbia accreditato Ivan come chitarrista di Bufalo Bill proprio per quella litigata.
Erano tutti artisti Rca.
Nei Settanta erano quasi tutti lì. Zero, Venditti, De Gregori, Conte, Fossati, Rino Gaetano, Dalla, Cocciante. Si trovavano e nascevano le collaborazioni. Anche qualche tour. Ne ricordo uno in cui, a fine concerto, dovevo raccogliere tutte le piume che perdevano i vestiti di Renato (Zero). E poi un tour di Ivan con Venditti. Una volta contestarono Antonello lanciandogli i pomodori. Quando lui e Ivan rientrarono nei camerini, sembravano pieni di sangue. Tempi duri.
Di quali dischi era più orgoglioso Ivan?
Dei primi, per esempio I lupi. Poi cominciò a soffrire l’ingerenza dei discografici. Ogni volta era una guerra, e lui non obbediva. Non gliel’hanno mai perdonata. Nessuna casa discografica lo ha mai promosso granché e Ivan ha sempre fatto tutto da solo. Per Ivangarage neanche andò all’appuntamento coi discografici: “Parlaci tu con quelle facce di merda”. Prudenza mai è dedicata proprio a uno di quei discografici, Ivan lo chiamava “il pretino”.
Il successo lo ha cambiato?
Per niente. L’unica cosa che Ivan ha cambiato in vita sua sono state tre Jaguar. Le comprava ad Arezzo.
Anche coi giornalisti non aveva un rapporto facile.
Non riusciva a fingere: se un giornalista lo intervistava per lavoro e senza trasporto, lo capiva subito. E rispondeva a monosillabi. Di sicuro detestava il gossip. Ero incinta di Filippo e Sorrisi e Canzoni ci propose di fare una foto da copertina con lui che poggiava l’orecchio sulla mia pancia nuda. Ivan li mandò affanculo. E io mi arrabbiai pure, perché sarebbero stati un sacco di soldi.
La critica musicale gliel’ha fatta pagare?
A Sanremo, negli anni Ottanta, il vincitore otteneva come premio anche un purosangue, per via del concorso Totip. Una volta Mario Luzzatto Fegiz, firma al tempo potente del Corriere della Sera, durante il Sanremo 85 gli chiese provocatoriamente cosa avrebbe fatto se avesse vinto quel cavallo. Dava per scontato che non lo avrebbe vinto mai. Ivan rispose gelido: “Nulla di che, sarebbe solo il quattordicesimo”. Ed era vero, perché mio fratello Gigi all’epoca aveva 13 cavalli.
Con Fegiz si scontrò spesso.
Una volta eravamo a casa di Patty Pravo. Sopra il letto c’era uno specchio enorme. Ero così ingenua che all’epoca non capii a cosa potesse mai servire quello specchio. A un certo punto Fegiz fa girare una canna. La fumano tutti, tranne Ivan. Sempre fuori dal coro. Poi a fine serata Fegiz gli dice: “Dai, ora io bacio tua moglie, tu ti incazzi, chiamiamo Novella 2000 e ci facciamo fotografare”. E a Ivan partì un altro bel vaffanculo.
A fine carriera soffriva del minore successo?
Per certi versi si arrese. Anche all’inizio pativa il fatto di avere lo stesso impresario di Venditti e De Gregori e di dover stare in seconda linea, ma tra Ottanta e Novanta era un artista con bisogno di stimoli. Adorava Novafeltria, gli piaceva parlare con le persone “comuni” molto più che con quelli famosi, però spesso si svegliava e diceva: “Anna, non ne posso più di vedere lo stesso pino ogni volta al mattino”. Così se ne andava per qualche ora, prendeva la sua Guzzi e andava a Urbino per parlare di arte, perché diceva che ‘a Urbino anche un calzolaio ti parla di Raffaello’. Poi però tornava sempre. La provincia lo proteggeva, ma forse un po’ lo spegneva. I concerti erano sempre pieni, ma avvertiva di essere stato abbandonato.
Però “Maledette malelingue”, a Sanremo 94, fu un successo.
Sì, ma non poté goderselo. Era già malato, anche se il medico gli disse “ma dai, è solo prostata, al massimo scoperai di meno”. Non era solo prostata: abbiamo visto le streghe. Ha voluto suonare fino alla fine, l’ultimo concerto fu a Torino poco prima di morire (il Primo Gennaio 1997 a neanche 52 anni, nda). Soffriva, tra un brano e l’altro si faceva fare la puntura, dietro il palco c’era sempre la morfina. Negli ultimi anni andò anche da una guaritrice. Io non ci credevo e forse neanche lui, ma quei massaggi con le mani calde lo aiutavano. A volte telefonava alla guaritrice anche durante i concerti, quando stava male, e dopo aver sentito la sua voce stava meglio e ripartiva. La vita è strana: ti aggrappi a tutto. Quella stessa guaritrice l’ho vista anni dopo a Tavullia, il paese di Valentino Rossi. Andò a trovarla Lou Reed, e mio figlio Filippo fece da traduttore. C’ero anch’io.
Ivan riposa con una chitarra.
L’ho voluto io. Gli ho messo il suo cachemire preferito e gli ho lasciato la “chitarrina” che usava alla fine, era più leggera e gli faceva meno male. La chitarra era “la sua bambina” e lui aveva detto che sarebbe morto con la chitarra in mano: in un certo senso è successo. Riposa a Novafeltria, ma non ho fatto scrivere il suo nome dove riposa. Volevo che quel luogo fosse solo mio e di chi gli vuole bene. E poi magari un giorno ritorna.
Molti non sanno che le canzoni le ha scritte sempre con te.
Sempre. Mi chiamava mentre strimpellava la chitarra, di solito dopo cena, e da lì partiva tutto. Motocross nasce da un mio litigio con mio fratello, che aveva appunto una moto gialla da cross. Scappo di casa prende spunto da una famiglia che abitava vicino. Lugano addio parte da una mia amica, Marta, che aveva delle gran tettone. Ivan partiva quasi sempre da fatti reali: era un cronista che si piegava alla metrica. Il nostro era un ping pong: io dicevo “le reti al sole i pescherecci in alto mare”, lui aggiungeva “le bestemmie e il suo dolore”. Ridevamo tanto, perché ai protagonisti facevamo fare di tutto. La “Paolina” che si innamora dell’“istruttore biondo” era una ragazza che andava a scuola guida vicino casa nostra: quante gliene abbiamo fatte fare, nelle nostre “prove”, con quell’istruttore biondo! Quante risate.
“Firenze (Canzone triste)” nasce a Roncobilaccio.
Messa così fa sorridere, ma è vero. A Roncobilaccio c’era uno studio discografico. Ivan mi chiama a tarda notte: “Ho scritto una cosina, ti va di sentirla?”. Io dico di sì, anche se ero stanca morta. Ivan parte e mi fa l’attacco di Firenze. La cosa buffa è che non era neanche sicuro della sua bellezza.
È appena stato Natale.
A Ivan piaceva. Si vestiva sempre da Babbo Natale per i suoi figli. Aveva poi il rito di accendere il fuoco: la vestaglia, la pipa. Mi guardava e, con voce teatrale, mi diceva: ‘Sono un vero gentiluomo di campagna’. Lo vedo ancora.