Robinson, 29 dicembre 2019
Breve storia della befana
È nata prima la Befana o la calza? È vera la seconda. Perché senza calza la Befana non sarebbe più lei. È questo magico accessorio a trasformare la vecchina brutta ma buona, che svolazza a cavallo di una scopa e si infila nelle cappe dei camini, nella portadoni più famosa di sempre. Un’amazzone dei cieli. Anzi un’Amazon. Visto che riesce a recapitare in una sola notte giocattoli a milioni di bambini in tutto il mondo con una puntualità incredibile e senza sbagliare indirizzo.
Ma in realtà la Befana, più che una persona è una personificazione, un’invenzione del cristianesimo popolare. Perché nasce da una corruzione della parola greca epifaneia, apparizione, che sarebbe la manifestazione della doppia natura di Cristo, umana e divina, ai Re Magi arrivati a Betlemme da Oriente per portare doni al Dio bambino. Nei diversi dialetti italiani il termine greco originale si trasforma poi in bifania, pifania, befania. Insomma, la vecchia più amata dai bambini è l’incarnazione del dogma della natività in una figura fantastica, un’astrazione che diventa un personaggio. Inoltre, la cultura popolare intreccia il tema cristologico a una serie di feste tradizionali legate al solstizio d’inverno, quando l’anno vecchio lasciava il posto a quello nuovo. E i simboli del passaggio stagionale erano alcune divinità femminili, da cui la nostra vecchina volante ha ereditato l’appartenenza al gentil sesso, soprattutto perché la parola epifania finisce con la a e quindi nell’immaginario degli spiriti semplici non poteva che essere una donna.
Insomma, la buona Befana viene da molto lontano. Discende in linea retta da quelle sacre reggitrici dei cammini calendariali, raffigurate sempre come megere decrepite, perché erano il simbolo di Madre Natura alla fine del suo ciclo annuale, quindi molto invecchiata, raggrinzita, striminzita.
Del resto, i nomi stessi che in molti dialetti italiani designano la Befana, le attribuiscono senza possibilità di equivoci una anzianità millenaria, che non appartiene all’anagrafe umana. Perché ha qualcosa di ancestrale, di numinoso, di mitologico. A partire dal veneziano Marantega, derivante da mare, cioè madre, e antiga cioè antica, etimologia che attribuisce di default alla nonnetta con la scopa lo statuto sacrale di un’Antica Madre. Non diversamente dall’alpina Berta, che discende dalla dea nordica Perchta, la splendente, che al solstizio d’inverno tornava a visitare gli uomini distribuendo premi e castighi. Altrove è semplicemente la Vecchia, o la Carcavecchia o la Carampana o la Donnetta grigia o la Donnina del tetto, ma il senso è sempre lo stesso.
Fra queste signore della notte, la prima a mettere regali in una calza fu la divina Egeria, una delle Camene, equivalenti romane delle Muse e, come loro, preposte al canto, ai vaticini, alla lettura del futuro. Egeria era la consigliera soprannaturale del secondo re di Roma Numa Pompilio, che all’inizio di gennaio, prima di andare a dormire appendeva una calza nella grotta della dea che si trovava vicino alle terme di Caracalla, in quella che ancora oggi viene chiamata valle delle Camene. E pare che all’indomani la trovasse piena di regali, ma anche di consigli, ammonimenti, profezie.
Ma Egeria non era la sola a portare dolcetti e verdetti. Ad affiancarla c’era anche Strenia, da cui deriva la nostra parola strenna. Il nome della sacra donatrice viene da strena che in latino significa presagio, vaticinio, pronostico. Di fatto Egeria e Strenia erano già delle befane, anche a causa del loro stretto rapporto con il mondo infantile.
In origine, infatti, la strenna era il regalo che i genitori romani facevano ai bambini nei primi giorni dell’anno, in occasione della Sigillaria, la festa dei sigilla, che in latino significa pupazzetti. Ed era chiamata con questo nome perché i doni erano soprattutto biscotti e focaccine a forma di bamboline e animaletti, assieme a una gran quantità di frutta secca e di fave. La frutta secca era quel che restava del tempo passato, mentre le fave erano il viatico per quello entrante.
Un vero e proprio scrutinio di fine anno. Che si concludeva con premi e castighi. E proprio scrutinia era il nome delle fave che anticamente venivano usate per votare, da cui il nostro scrutinare. Oltre che per predire il futuro. E, a riprova che i nostri usi e costumi hanno alle spalle una lunga storia, si chiamano scrutini anche le sorprese che tradizionalmente si mettono nelle moderne torte dell’epifania che evocano i Re Magi, che del dono sono la personificazione. La galette des rois francese, il roscon de los reyes spagnolo, la greca vassilopita, cioè schiacciata dei re e le nostre focacce della Befana. Sorprese che, guarda caso, hanno la forma di una fava, qualche volta di un fagiolo, di porcellana, di legno e qualche volta anche d’oro. Chi le trova avrà un anno fortunato all’insegna della prosperità e dell’abbondanza.
Per tutte queste ragioni la vigilia dell’Epifania conserva quel carattere di attesa magica, di sospensione stregata del tempo, in attesa che la ruota dei mesi, dei giorni e delle ore riprenda a girare la mattina successiva. In effetti i dodici giorni che andavano dalla Vigilia di Natale al 6 gennaio, la “dodicesima notte” di Shakespeare, erano considerati una pausa incantata dell’anno, in cui tutto diventava possibile. E l’ordine cosmico e sociale che reggeva il mondo si invertiva.
Alla luce della stella cometa gli animali parlavano mentre gli umani tacevano. I bambini prendevano il sopravvento sui grandi in un clima fiabesco. Nell’Inghilterra della regina Elisabetta I, la vergine pallida e lunare, si mangiava il cosiddetto twelfth cake, il dodicesimo dolce, che conteneva una sorpresa a forma di fagiolo. Chi lo trovava diventava re del fagiolo. Ma la carica durava fino a mezzanotte. Poi tutto rientrava nei ranghi consueti. Proprio come succede in quel regno dei balocchi che si instaura durante il periodo natalizio e che finisce il 6 gennaio, quando l’Epifania tutte le feste porta via. E l’ombra del ritorno a scuola, o al lavoro, turba i sonni dei bambini e getta un’ombra di malinconia sullo scintillio dei giocattoli. Vuol dire che la vecchia sta per andarsene e non tornerà che l’anno successivo.
In fondo proprio in questa alternanza scuola lavoro, una sorta di esperienza iniziatica delle successioni, delle fasi e dei momenti della vita, sta la vera lezione della Befana. Che premia e qualche volta punisce a seconda dell’uso che abbiamo fatto del nostro tempo. Anche se in una società che ha abolito la bocciatura dal suo orizzonte pedagogico e il castigo da quello familiare, i premi prevalgono nettamente sulle sanzioni.
Perfino il carbone che una volta era il voto di condotta consegnato ai bambini che non si erano comportati bene oggi è stato sostituito da deliziose rocce di zucchero nero. Più che altro un amoroso rabbuffo. Un avviso di garanzia, in attesa di prescrizione.