Avvenire, 29 dicembre 2019
Le carceri sono di nuovo piene
Carceri sovraffollate e di nuovo “esplosive”. Al 30 novembre i reclusi nei 190 istituti penitenziari italiani erano 61.174, quasi 11mila in più rispetto alla capienza prevista dalla legge (sono 50.476, infatti, i posti disponibili). Le conseguenze? Atti di violenza, sommosse, aggressioni e suicidi dietro le sbarre. Ieri a Poggioreale, Napoli, un detenuto di 45 anni ha tentato di uccidersi in cella, dove aveva fissato un cappio alle inferriate della finestra del bagno: è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria intervenuti appena in tempo. Nell’infermeria di Marassi, a Genova, un poliziotto è stato aggredito e ferito con un ferro di 40 centimetri da un carcerato 43enne che poi l’ha morso. Nello stesso carcere, giorni fa, due detenuti sono evasi. E venerdì, nella casa circondariale della Spezia, un uomo che deve scontare 19 anni non è rientrato in cella dopo un permesso premio.
I numeri forniti dal ministero della Giustizia “scottano” e se non si ricorrerà presto a rimedi concreti il rischio è che l’Italia subisca un’altra salata sanzione della Corte Europea dei diritti umani, come avvenne nel 2013 con la “sentenza Torreggiani” per trattamenti inumani o degradanti subiti da sette detenuti a Busto Arsizio e Piacenza, costretti a vivere in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.
I detenuti negli ultimi undici mesi sono aumentati anche in confronto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando se ne registravano 9mila in più rispetto al numero consentito. «Giorni fa a Taranto, per esempio, ce n’erano più del doppio (619 anziché 306 ndr) come ho potuto constatare di persona» dice Mauro Palma, presidente del “Garante nazionale privati della libertà”. Le carceri scoppiano: a Poggioreale ci sono 2.090 reclusi sui 1.636 consentiti, al Marassi di Genova sono pigiati in 735 (dovrebbero essere invece 525); pure le Case circondariali della Capitale, Rebibbia e Regina Coeli, sono largamente soprannumero: 1.645 e 1.041 “ospiti”, rispettivamente, quasi 500 in più in entrambe le strutture. E, ancora, a Milano, San Vittore con 1.067 detenuti (quasi tutti in attesa di giudizio) sui 798 previsti, e Opera, con 1.334 sui 918 stabiliti dal regolamento.
«Ma il sovraffollamento è forte un po’ ovunque – precisa Palma – e non si può “spalmare” in modo uniforme. Ciò che mi preoccupa più della condizione materiale dei detenuti, in questo momento – prosegue – è però la mancanza di una linea progettuale da parte dell’Amministrazione penitenziaria. Non basta, cioè, mettere un occhio “oggi e dentro” le carceri, bisogna essere capaci di guardare “dopo e fuori”, di investire in un progetto». Il vero nemico da battere, secondo l’Autorità che vigila sui diritti delle persone detenute, è «la povertà» sociale e culturale largamente
diffusa nel Paese. «Tra le persone trattenute in carcere, per esempio, ce ne sono anche 1.700 che devono scontare una pena inferiore a un anno, e circa 4mila condannate definitivamente a una reclusione che va da uno a due anni – spiega Palma –. Si tratta per la maggior parte di gente senza dimora, di poveri che non hanno una casa e un lavoro e non possono permettersi una difesa adeguata, sono soggetti, cioè, che non hanno legami con la società: non si può relegare la povertà esistenziale alla struttura restrittiva, bisogna creare una rete di fiducia fuori dal carcere, perché il sistema sociale oggi non è capace di sanare queste ferite: servono quindi più servizi sul territorio» dice Palma. E serve anche una riforma penale che preveda sanzioni alternative alla detenzione: «I reati di minore entità non vanno puniti col carcere» dice il Garante.
«La realtà del sovraffollamento è ben peggiore delle cifre ufficiali – commenta Alessio Scandurra, dell’Associazione Antigone – ma visto che stavolta la crescita è più lenta rispetto al passato, abbiamo tempo e modo di rimediare». Come? «Applicando più misure alternative alla pena detentiva, concedendo più liberazioni anticipate e norme penali più adeguate ai reati».
Altra questione da affrontare è l’edilizia carceraria. È utile costruire nuove strutture per consentire a reclusi e operatori penitenziari di “stare più larghi”? «La politica adottata oggi, secondo noi, va bene: si costruisce solo dove è necessario, senza frenesie emergenziali, e i carceri vecchi e malmessi si smantellano» dice Scandurra. La pensa diversamente, invece, Pompeo Mannone, segretario generale della Federazione nazionale sicurezza della Cisl: «C’è bisogno di nuove sedi, di più spazi, magari adattando strutture statali dismesse, perché alcune carceri risalgono all’età borbonica, servono impianti moderni». Per il sindacalista, comunque, il sovraffollamento si può governare solo con più personale: «Servono 5mila agenti penitenziari per coprire gli organici e garantire un minimo di servizi, attualmente ogni poliziotto è costretto ad affrontare turni massacranti di oltre 8 ore al giorno: è una vita impossibile e causa spesso suicidi». Nel 2019 sono state 30 le guardie che si sono tolte la vita.