Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 29 Domenica calendario

Storia della figlia di un giostraio. Intervista a Virginia Raffaele e a Federico Tiezzi

«Mi ha telefonato qualche mese fa. Non ci conoscevamo, anche se io l’avevo vista in tv, naturalmente. E mi piaceva. Ha cominciato a parlare come un fiume. Raccontava di lei, dei giostrai, di perché voleva fare lo spettacolo e mentre parlava io mi sentivo già nel luna park dove lei è cresciuta. C’era qualcosa di bello nella passione con cui raccontava», ricorda il regista Federico Tiezzi. All’altro capo del telefono c’era Virginia Raffaele ed è finita così: la popolarissima one-woman show, brava, intrepida, regina di strepitose parodie («le mie non sono imitazioni ma reinvenzioni»), passione e allegria contagiose (il primo gennaio sarà tra gli ospiti di Roberto Bolle a Danza con me su Rai1) e il regista di prosa e di opera, artista cult d’avanguardia negli anni giovanili dei Magazzini Criminali, che da quarant’anni colpisce selezionate platee teatrali rileggendo Dante, Goethe, Schnitzler, Verdi… in continuità con la grande stagione di Strehler e Ronconi, ecco, lui e lei, lavoreranno assieme. Tiezzi è infatti il regista di Samusà, il nuovo spettacolo di Virginia Raffaele – debutto l’8 febbraio da Vignola, poi in tournèe, scritto con Giovanni Todescan, Francesco Freyrie, Daniele Prato – che già sembra una “strana coppia” di pop e teatro d’arte, un gesto ardito, apparentemente opposto al cammino di entrambi i quali, invece, ne parlano con naturalezza, seduti l’uno accanto all’altra: Virginia in rosso bordeaux e scarpe maculate, Tiezzi in nero con il foulard al collo un po’ bohémien, lei travolgente, lui timido, lei che lo chiama “Maestro”, lui che decanta “rigore e professionalità di lei”. Lo spettacolo è la vita di Virginia nelle roulotte del luna park, nel mondo delle giostre e dei giostrai dove è cresciuta: una vertiginosa macchina affabulatoria di aneddoti, ricordi, storie vissute che Tiezzi terrà in carreggiata.
Come vi è venuto in mente?
Raffaele: «Dopo il successo di
Perfomance, avrei potuto fare Performance 2 sempre con i miei personaggi, ma cambiare è nella mia natura e sono felice di questa contaminazione, mi affascina che un’idea molto pop possa trovare una eleganza formale. Quando lavoriamo io parlo della nave pirata, lui di Cechov. Sarà un Brecht che tira la pallina e vince il pesciolino rosso... E comunque se siamo qui, è perché condividiamo coraggio e passione«.
Tiezzi: «Io mi sento un esploratore in una terra incognita, il luna park, e non solo è divertente perché durante le prove ogni tanto lei mi fa la voce della Vanoni o della Abramovic, ma sentirla raccontare è come stare sulle montagne russe».
Cosa vuole raccontare?
Raffaele: «Chi non lo è non può immaginare cosa significhi essere giostrai. I miei nonni negli anni 50 sono stati i fondatori del luna park dell’Eur a Roma, e lì sono nata e cresciuta. Facevo i compiti davanti alla giostra, il primo bacio l’ho dato sotto il Bruco Mela... Era il mio Truman show : pensavo che la vita finisse ai cancelli verdi del luna park. Nel 2007 è successo che lo hanno chiuso e quella cosa mi ha ferito, non solo perché ha messo sul lastrico cento famiglie compresa la mia, ma perché non mi andava giù che finisse tutto. Così l’ho voluto raccontare. E siccome quando cresci tra le giostre finisce che diventi una giostra anche tu, io in fondo faccio quello che facevo da bambina: attraggo il pubblico e lo diverto. Ho riportato il luna park dentro di me. Tutto questo l’ho raccontato anche a Federico e l’ho convinto».
Tiezzi : «La verità è che usava un gergo particolare, e io che sono fissato col linguaggio, sono rimasto folgorato dalle strane parole dei giostrai».
Che parole?
Raffaele: «“dritti”, “snicciamo”….
Il gergo dei giostrai. È una lingua che si tramanda a voce. Il giostraio gira, prende un termine qui, uno là, e li camuffa per non farsi capire. Io e mamma parlavamo così. Al bancone per dire “chiedi i soldi”, lei mi diceva “chiedi la pila”, o se c’era qualcuno di un po’ sospetto, “sniccia il mecco”. I dritti invece sono i giostrai».
È una storia bellissima.
Tiezzi: «Sì, e in un mondo così senza radici, trovare una persona che ne ha di così forti è straordinario. Forse nemmeno Virginia si rende conto che ricchezza rara ha. Le giostre sono il suo mito fondante e lo si vedrà. Ma lo spettacolo sarà anche molto divertente a partire dalla scena di Marco Rossi, un luna park passato nella pop art».
Virginia, perché ci teneva tanto a raccontare quel mondo del suo passato?
Raffaele: «Forse per esorcizzarlo e liberarmene. Forse per dare libertà a una parte di me, aprire la gabbia a quello strano animale che scalpita da molto tempo. Forse anche per interpretare finalmente me stessa, dopo essermi sdoppiata in tanti personaggi».
Tiezzi : «Ognuno di noi ha bisogno di far esplodere i suoi ricordi prima o poi, e Virginia riesce a rendere artistiche le sue ossessioni, in più divertendo. Mi fa venire in mente la storia di Yvette Guilbert, modella di Toulouse Lautrec, e cantante di cabaret che si rivolse a Freud per liberarsi dei pesi del suo passato. Il nostro spettacolo sarà un Freud sul Bruco Mela».