la Repubblica, 29 dicembre 2019
Le dichiarazioni dei politici ai tigì sono il livello zero della politica
Guarda fisso dentro l’occhio della telecamera, come quando si fanno le foto per il passaporto. Dice in pochi secondi una frase già memorizzata, con lo stesso tono assertivo, e al tempo stesso inespressivo, con il quale si dicono le frasi già memorizzate: come nelle interrogazioni a scuola. Non una sola parola sembra pensata al momento, detta proprio per quell’occasione, influenzata da una conversazione precedente o successiva. Non una sola parola tradisce la presenza di una persona, di un pensiero, di un’emozione. Chi sta parlando è solo un prestatore di faccia e di voce.
Sono tutte identiche le decine, centinaia, migliaia di dichiarazioni-flash che i politici rilasciano ai telegiornali, che provvederanno poi a confezionarli in quelle orride, insopportabili eppure irriformabili macedonie di dichiarazioni (suddivise per partito) che sono una parodia del pluralismo e un’offesa al giornalismo (il giornalista, difatti, non compare; lo spazio è appaltato all’onorevole, punto e basta).
Niente è più prevedibile: si sa già prima che aprano bocca quello che diranno. Diranno che il loro partito ha ragione, gli altri partiti torto.
In pochi secondi riusciranno quasi certamente a stipare le parole “italiani” e “poltrone”, le più risapute, ripetute, banali. Ma anche dovessero dire “paralipomeni”, o “culo”, il modo in cui lo dicono è talmente meccanizzato che nessuno se ne accorgerebbe. Le dichiarazioni dei politici ai tigì sono il livello zero della politica.
Dopo tutti questi anni si è rinunciato a stabilire chi ne porti maggiore responsabilità, se la Rai o la politica. Chi sia in ostaggio di chi. È la sindrome di Stoccolma.