Corriere della Sera, 29 dicembre 2019
Il Vaticano vuole vuole giocare alle olimpiadi
In Europa ci sono Monaco e San Marino, il Liechtenstein e Andorra, in Africa le Seychelles, in Oceania, tra le altre, le isole di Palau, Nauru e Tuvalu, nei Caraibi Grenada, in Asia le Maldive. Dei 25 microstati censiti sul pianeta Terra uno solo – il più piccolo e celebre – non fa ancora parte del Comitato Olimpico Internazionale che conta 206 stati affiliati, tredici più dell’Onu. Il vuoto potrebbe essere colmato presto: il Vaticano ha iniziato la procedura per entrare a far parte della grande famiglia dello sport mondiale, un enorme passo avanti rispetto all’unica attività pontificia finora nota, quel torneo di calcio dei dipendenti della Santa Sede che sta per compiere 50 anni.
«Abbiamo messo in cantiere un sogno – spiega Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Consiglio Pontificio per la Cultura – la cui realizzazione richiederà tempo. I rapporti col Cio sono ottimi, ma una nazione può essere accettata solo quando si presenta con cinque discipline sportive affiliate ad altrettante federazioni internazionali. Per uno Stato piccolo e poco popoloso come il nostro arrivarci sarà una maratona».
La maratona sta per cominciare: l’ingresso nella Iaaf, la federazione internazionale di atletica leggera è imminente. Sánchez e Sebastian Coe, il presidente internazionale, si sono incontrati ai recenti mondiali di atletica leggera, a Doha, in Qatar. La rappresentativa nazionale potrebbe partecipare al campionato mondiale dei piccoli Stati di San Marino, il prossimo giugno: nel 2019 vi ha preso parte come «osservatore», portando un paio di atleti vicini al podio. Ma già a maggio, nel centro sportivo delle Fiamme Gialle, sul litorale romano, il costituendo Comitato Olimpico Pontificio organizzerà un meeting internazionale di atletica leggera aperto a probabili olimpici, agli atleti dei piccoli Stati, alla rappresentativa dei rifugiati che gareggerà a Tokyo su invito del Cio.
«Sotto la bandiera del Vaticano – precisa Toca – non gareggerà mai chi cerca un sotterfugio per vincere medaglie lasciando una nazione dove non riesce ad emergere. Vorremmo partecipare dignitosamente ai grandi eventi con i nostri atleti portando un messaggio cristiano di sport come attività competitiva e creativa al pari dell’arte, della musica o della letteratura».
La via per entrare nel Cio è più complessa. «L’atletica leggera – spiega Toca – è una realtà consolidata. Poi potremmo puntare su judo e taekwondo, molto amati anche dalle guardie svizzere, e sugli sport invernali che raccolgono proseliti sia tra il personale laico che tra i religiosi. L’aiuto del Coni e delle federazioni italiane sarà prezioso: in Vaticano, al contrario di loro, non abbiamo strutture ed esperienza».
Nata soltanto due anni fa, Athletica Vaticana è la struttura tipo dello sport pontificio, allo stesso tempo società e federazione nazionale, laica e religiosa. Il tesseramento è riservato a prelati, dipendenti della Santa Sede e loro parenti di primo grado. Tra gli atleti il vescovo di Orano Jean-Paul Vesco, che in passato ha corso la maratona in due ore e 50 minuti e Marie-Théo Manaud, l’unica suora, anche lei maratoneta. L’atleta di punta è una donna, Camille Chenaux, 27 anni, settima lo scorso maggio sui 10 mila metri ai campionati italiani assoluti. Tra i cittadini del Vaticano – religiosi a parte – ci sono molti giovani tra cui reclutare nuovi atleti.
«Pensate a quanti campioni sono nati negli oratori – conclude Sanchez de Toca – e a quanto sono stati importanti gli oratori per la Chiesa. Lo sport sta cambiando, è sempre più un momento di aggregazione. La competizione serve a eliminare barriere economiche e sociali e tra abilità e presunte disabilità. Non vogliamo essere l’ennesima nazione olimpica, non puntiamo a medaglie e nemmeno a diventare un fenomeno folcloristico. Vogliamo portare sul campo i nostri valori».