la Repubblica, 29 dicembre 2019
Intervista a Fiorello
The show must go off. Il paletto della nuova frontiera televisiva lo ha piazzato Fiorello con il suo show live, ma anche on demand, perché il palinsesto è diventato liquido, guardi quando vuoi, in streaming o off line. Il suo Viva RaiPlay! è stata una maratona di 23 puntate, 30 ore di tv, in pratica il Telethon del varietà. Fiorello è stato anche celebrato da Variety, che nel mondo dello spettacolo vale come una menzione sulla Bibbia. «Bellissimo pezzo, l’ho letto tutto d’un fiato... Ma non c’ho capito niente, poi mia moglie me lo ha tradotto! Che figata, sono finito su Variety come Clooney».
A esperienza finita che voto si dà?
«Io mi darei sempre 2, non sono un tipo facile. Però so una cosa: è stata l’esperienza più bella della mia carriera. E adesso che è finita mi dico da solo che sono stato scemo ad accettare».
Perché scemo?
«Per il mio carattere: sono tremendamente pigro, sono un figlio del divano. Già fare 4 puntate su Rai1 una volta alla settimana per me era uno sforzo incredibile. È andata a finire che ho cucinato 3 puntate a settimana, di fila per giunta. Eravamo partiti da 50 minuti e siamo arrivati a 1 ora e 40. Per non farmi mancare niente ho proposto pure la striscia mattutina di Viva Asiago 10! Un deficiente proprio...».
Ha detto sì a RaiPlay, ma avrebbe detto no a Rai1: perché?
«Quando Salini (l’amministratore delegato Rai) mi ha chiamato pensavo mi offrisse il “solito” varietà del sabato sera di Rai1. Invece mi ha parlato di RaiPlay e in 5 secondi ho accettato. È stata una spinta a cambiare, i tempi erano serrati, era tutto più veloce. È più bello avere meno tempo, ma fare più cose, tanti momenti di spettacolo che si possono tagliare in piccoli contributi da far girare sul web».
È economicamente sostenibile per la tv generalista un modello di business di questo tipo? Non rischia di diventare pericoloso fare uno show importante che poi viene cannibalizzato in pillole?
«Siamo nel 2020, le cose cambiano: abbiamo device, tablet, cellulari; la strada è questa».
Oltre 15 milioni di views per «Viva RaiPlay!», una crescita del 40% in termini di visualizzazioni dell’intera offerta on demand. E non c’era nemmeno l’ansia degli ascolti...
«Quell’ansia me la sono dimenticata proprio. E questo ha dimostrato che la preoccupazione per l’Auditel nuoce tantissimo alla qualità di un programma perché a volte fai delle scelte artistiche pensando solo agli ascolti. Magari non lo ammetti, ma è così: pensi che una cosa possa piacere solo a te, pensi che se inviti un certo tipo di ospite su Rai1 fa il 3% di share. Qui non ci ho mai pensato: erano tutti uguali, non c’erano ospiti di Seria A e di serie B».
Lei è riuscito a far cantare «Heidi» a Venditti e «Viva la pappa col pomodoro» a De Gregori. Come si convincono artisti con una storia importante a essere autoironici?
L’amico
Ai tempi di Deejay Amadeus era il solo su cui Cecchetto potesse fare affidamento
«Non si convincono... Io ho i miei sistemi, le mie tattiche anche psicologiche. Non chiedo mai niente prima e alle prove li prendo alla sprovvista, con il microfono in mano: quale sarebbe la canzone che non canteresti mai sotto tortura? Poi ci aggiungi un po’ di vinello e due sigarette... Del resto Venditti è così: se non gli dai un po’ di nicotina si blocca. Sono entrati in questo clima e avrebbero fatto qualunque cosa».
Una volta c’era chi mescolava alto e basso, ora bisogna contaminare gli adulti con i giovani, mettere insieme il fenomeno di TikTok con Piero Angela?
«Esatto. L’obiettivo era portare il pubblico della generalista sulla piattaforma di streaming, però questo ha contribuito a far arrivare anche i giovani, perché se invito Calcutta e Coez si incuriosiscono anche loro. Questa contaminazione tra classico e moderno ha funzionato. In una puntata c’erano Brunori Sas, Piero Angela e pure Gianluca Vacchi, che a molti non piace: io invece prendo tutto, senza nessuno snobismo. Penso al varietà nel vero senso della parola: uno spettacolo che mette in scena una varietà di cose».
Tra poco più di un mese c’è Sanremo: non è che ha cambiato idea e va a farsi un giro in bici in Perù con Jovanotti?
«Nooooo. Come ha detto Amadeus ce lo eravamo ripromessi 30 anni fa, quindi vado con assoluto piacere. Spero di avere ancora lo stesso atteggiamento che ho avuto con Viva RaiPlay!. Io mi preoccupo sempre, invece vorrei andarmi a divertire. Che paura dobbiamo avere? In fondo stiamo facendo solo spettacolo...».
Qual è la qualità umana di Amadeus che vi ha fatto diventare amici?
«Quella che potrebbe essere un piccolo difetto: è buono, buono, buono. Un bella persona, generosa. Se avessi fatto io Sanremo me ne sarei andato in un eremo; lui no, bello tranquillo ha fatto Sanremo giovani e Telethon, sarà in onda a Capodanno, continua a condurre i Soliti Ignoti, e poi andrà al Festival. È un grande professionista; ai tempi di Deejay era il solo di noi su cui Claudio Cecchetto potesse fare affidamento: il programma lo portava sempre a casa. Se lo dava in mano a me o a Jovanotti, capirai... io stavo fisso in discoteca a Ibiza».
E dopo Sanremo?
«Dal 17 febbraio torno a fare Viva Asiago 10! su RaiPlay. È lo spirito di Edicola Fiore con un registro diverso. Lì c’erano gli avventori del bar, qui ci sono dei professionisti: Fabrizio Biggio, Mauro Casciari, Danti, Phaim Bhuiyan (il regista e attore di Bangla)».
Deve dire anche grazie a sua moglie Susanna...
«Non sono uno facile, se una cosa non è andata come volevo io, rimugino, sono nervoso. So che torno a casa e trovo una persona che mi capisce: non potrei fare quello che faccio senza questa serenità che dura da 24 anni. Dietro un grande ansioso c’è sempre una grande Susanna».