Simone Di Meo per la Verità, 28 dicembre 2019
ALI BUCATE: NELLE SPESE PAZZE DEL CRAC ALITALIA DUE PRANZI DA 100.000 EURO IN 24 ORE - VERSO LA CHIUSURA L'INCHIESTA CHE VEDE INDAGATI, TRA GLI EX MANAGER, ANCHE MONTEZEMOLO. LA PROCURA DI CIVITAVECCHIA HA STILATO, FATTURE ALLA MANO, UN ELENCO DI ESBORSI ANOMALI. PER UNA PAUSA CAFFÈ DEL CDA E UNO SPUNTINO ALITALIA PAGÒ LA BELLEZZA DI 1.537 EURO. PER UN PRANZO LEGGERO, LA MEDIA ERA DI CIRCA 1.500 EURO AL GIORNO, ALMENO. TÈ E TISANE A PESO D'ORO... -
La filmografia internazionale ha immeritatamente sottovalutato il filone dei disastri delle compagnie aeree. Ci sono infatti pellicole e pellicole sui velivoli in avaria tra le nuvole come Prigionieri del Cielo, Nell' Occhio del Ciclone, L' ultimo Volo, Atterraggio di Emergenza, solo per citarne alcuni, e nessuno invece sulle società a cui appartengono. Eppure, così come possono precipitare gli apparecchi, rischiano di precipitare pure le aziende che li gestiscono; e i danni sono ugualmente disastrosi. L' inchiesta sul fallimento dell' Alitalia potrebbe, però, inaugurare questo nuovo genere cinematografico.
Basterà infatti attendere ancora un po' per leggere gli avvisi di conclusione delle indagini che i militari della Guardia di finanza stanno notificando a decine e decine di indagati proprio in queste ore al termine di un gigantesco sforzo investigativo durato oltre due anni e racchiuso in un lungo elenco di capi di imputazione, e farsi un' idea di quel che succede in casi del genere.
Di bancarotta fraudolenta sono accusati, tra gli altri, i tre manager che hanno guidato l' azienda dal 1° gennaio 2015 al 2 maggio 2017, pochi giorni prima della dichiarazione di insolvenza (11 maggio 2017): si tratta di Silvano Cassano, Luca Cordero di Montezemolo e Mark Ball Cramer. Il lavoro inquirente, condotto dalla Procura di Civitavecchia (procuratore Andrea Vardaro e pm Allegra Migliorini e Mirko Piloni) e da quella di Roma (aggiunto Gustavo De Marinis) ha affondato il bisturi in particolare nella gestione araba della nostra compagnia di bandiera.
Quella che faceva capo alla società emiratina Etihad che, nel 2015, entrò nel capitale sociale con il 49 per cento lasciando la maggioranza alla Cai-Midco di cui facevano parte istituti di credito come Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo, e colossi imprenditoriali come Atlantia della famiglia Benetton. Etihad è la stessa società che, in quel periodo, chiuse un discutibile accordo con il ministero della Difesa per fittare un Airbus 340/500 (il famoso «Air force Renzi» voluto dall' allora premier Rottamatore) per 168 milioni di euro spalmati in otto anni, con un sovrapprezzo di 26 volte il valore di mercato, e al contempo sottoscrisse un' obbligazione da 200 milioni di euro emessa proprio dalla società di Fiumicino.
Da quel che il nostro giornale è riuscito a ricostruire, pare però che le indagini abbiano imboccato la strada anche della gestione commissariale a cui parteciparono due commissari, nominati dall' allora ministro Carlo Calenda, che erano stati coinvolti anche nella amministrazione ordinaria dell' azienda. Al momento del commissariamento, infatti, nel cda sedevano, oltre a Montezemolo, tre manager Etihad (l' amministratore delegato Ball Cramer, appunto, il vicepresidente James Hogan e James Rigney), Giovanni Bisignani, Federico Ghizzoni, Gaetano Micciché e Luigi Gubitosi.
Tra il 2015 e i primi due mesi del 2017, Alitalia accumulò qualcosa come 900 milioni di euro di debiti che portarono in negativo il patrimonio netto per 111 milioni di euro (stima al 28 febbraio 2017) spalancando le porte al default. Scelte scellerate di politica industriale, errori di valutazione del management e manovre di gestione poco chiare, a cui si aggiunge il sospetto di falsi contabili, hanno dissanguato la società.
Che, proprio come l' orchestrina del Titanic che continuava a suonare mentre il transatlantico affondava, non si è accorta di nulla. E ha proseguito a bruciare una quantità incredibile di denaro. Sarebbe troppo facile sostenere che i debiti hanno letteralmente mangiato l' azienda se non fosse che i debiti sono stati fatti anche per mangiare in azienda.
Prova ne sono le fatture agli atti del procedimento emesse da Relais le Jardin, una delle ditte di catering più importanti di Roma con un portafoglio clienti che va dalla Banca d' Italia alla presidenza della Repubblica, che il nostro giornale ha potuto visionare. E che descrivono perfettamente l' atmosfera che regnava nel quartier generale della compagnia di bandiera uscita, da poco, dalla burrasca affrontata dai «capitani coraggiosi» che, nel 2014, avevano registrato una perdita secca di due miliardi di euro.
Per una pausa caffè del Consiglio di amministrazione (16-17 maggio 2016) e un «light lunch» (una specie di spuntino) Alitalia pagò la bellezza di 1.537 euro. Per un «welcome coffee», in un famoso studio legale della Capitale, vennero sborsati invece 1900 euro. Per un pranzo leggero, la media era di circa 1.500 euro al giorno, almeno.
D' altronde, il coffee break più economico costava non meno di 900 euro. Nulla però in confronto ai 72.000 euro che vennero spesi dall' azienda per il catering per l' evento del 18 maggio 2016 presso l' Auditorium Parco della Musica, a Roma. Solo per il cocktail pomeridiano furono necessari 25.000 euro a cui aggiungere una somma identica per «allestimento, materiali e servizio» e altri 3.800 euro per i «67 metri di barriera verde». Più frugale fu invece il pasto - lo stesso giorno - presso lo Spazio nazionale eventi: «solo» 27.000 euro.
Di cui 20.000 per il «cocktail rinforzato». In pratica, in ventiquattr' ore, Alitalia spese per due pranzi circa 100.000 euro. Da Relais le Jardin la società comprava anche tutto il necessario per il rifornimento mensile delle cucine che, evidentemente, funzionavano poco considerato il ricorso a professionisti della ristorazione esterni.
Ci sono diverse fatture che oscillano tra i 1.600 e i 2.400 euro per l' acquisto di cialde per il caffè (500 euro), varie miscele di tè, tisane e camomilla, succhi di frutta, acqua, bibite gassate, latte intero e scremato, biscotti al burro (quelli danesi nelle scatole di latta), sale, pepe, olio e aceto balsamico, e posate e tovaglioli monouso.
Con questo scenario, non sfigurerebbe un kolossal dal titolo: «Crac ad alta quota».