LE LACRIME A SANGUE FREDDO DI CAPOTE, 28 dicembre 2019
THE TRUMAN SHOW – CAPOTE ERA CAPACE DI SPAZIARE TRA LA ROMANTICA FIABA NEWYORCHESE DI “COLAZIONE DA TIFFANY” E IL REPORTAGE NERISSIMO “A SANGUE FREDDO” – GARZANTI RIMANDA IN LIBRERIA DIVERSI TITOLI DEL GRANDE SCRITTORE AMERICANO – DALLA SHORT STORY AL MONUMENTO AL PETTEGOLEZZO CHE È “PREGHIERE ESAUDITE”… -
Paolo di Paolo per “il Venerdì di Repubblica” Possibile che a scrivere Colazione da Tiffany sia lo stesso autore di A sangue freddo? Possibile che la romantica fiaba newyorchese portata al cinema da Blake Edwards provenga dalla stessa penna che ha prodotto il reportage "nero" su un pluriomicidio in Kansas nel 1959? Rileggere Truman Capote produce questo curioso effetto jet lag: come se fra libro e libro ci fossero distanze astrali. Il fatto che Garzanti rimandi in libreria diversi titoli - A sangue freddo nella nuova, smagliante traduzione di Alberto Rollo, Colazione da Tiffany con la prefazione di Paolo Cognetti e Preghiere esaudite introdotto da Nicola Lagioia - è l' occasione per farsi qualche ulteriore domanda sul talento straordinario di questo scrittore americano.
Esuberante, sì, e prodigioso in quanto a duttilità. Ciò che lo rende attrezzatissimo per il ventunesimo secolo in corso - pur essendo nato quasi cento anni fa - è forse proprio questo: non è solo uno scrittore. Meglio: sente che essere uno scrittore vuol dire disporre di una tastiera stilistica larga, di «un virtuosismo tecnico», così dice lui stesso, «resistente e flessibile come la rete di un pescatore». Capote sperimenta, lavora sulla short story e sul romanzo elegiaco, scommette sulla possibilità che il giornalismo sia inteso come arte, trasforma il dialogo e l' intervista in una battaglia fra coscienze turbate, la cronaca mondana in «commedia nera sui ricchi sfondati», in un monumento al pettegolezzo.
È proprio con quest' ultimo esperimento, Preghiere esaudite, che compie il suo estremo azzardo: letterario e umano. L' alter ego P.B. Jones confessa la propria disponibilità a prostituirsi, anche solo intellettualmente, pur di accedere ai riti e ai vantaggi dell' alta società. «Nella polpa della Grande Mela» spiega Lagioia «P.B. incontra diversi vermi dai patrimoni incalcolabili, i cosiddetti "mostri non rovinati" di cui descrive le nefandezze (non aliene da grandiosità) con la dovizia di dettagli e l' acrimonia di cui sono capaci gli infiltrati. Se a P.B. Jones fosse riuscito definitivamente il salto, sarebbe uno strano caso di parvenu capace per cultura e stile di surclassare molti pigmalioni. È da qui che nasce il suo astio? O è perché non ce l' ha fatta?».
Non c' è tempo per rispondere: appena cominciano a circolare, su rivista, i primi capitoli della nuova, ambiziosa opera (il modello è Proust, ma un Proust inacidito, verrebbe da dire), Capote viene allontanato e ostracizzato dagli stessi che l' avevano esaltato e vezzeggiato. È il suo "suicidio sociale", un' uscita di scena malinconica, fra solitudine, alcol, disperazione. Muore in un giorno d' agosto di trentacinque anni fa, abbandonato da (quasi) tutti e - secondo i malevoli - dal proprio stesso genio.
In verità, come un testamento, scrive un meraviglioso racconto, Un Natale (anch' esso edito da Garzanti) dove ritrova intatta la sua infanzia complicata, ritrova sé stesso ragazzino, suo padre che non c' era mai, sua madre presa da sgangherate storie d' amore. E ritrova soprattutto una specie di zia, una cugina anziana, Sook, che lo convince a passare il Natale con quel babbo latitante. «Ma certo che Babbo Natale esiste. Solo che non c' è nessuno che possa fare da solo tutto quello che deve fare lui. E allora il Signore ha distribuito i suoi compiti tra tutti noi. Per questo siamo tutti Babbo Natale. Io.
Tu. Persino tuo cugino Billy Bob. E adesso dormi». Così la vecchia Sookie placa l' inquieto Buddy, il bambino cresciuto ipersensibile che un giorno diventerà scrittore. Il cuore sempre straziato. Forse il segreto di Capote si nasconde lì, nelle lacrime sempre pronte a sgorgare anche quando si ride, anche davanti a un albero che trema per il vento, perfino nel luccichio ottobrino di Manhattan. D' altra parte, è lui stesso, il bugiardo consapevole delle sue «bugie vere», a definire i propri racconti «teneri e tristi». Ha ragione Cognetti, nella prefazione al leggendario Colazione da Tiffany (il cui adattamento cinematografico con Audrey Hepburn mai convinse Capote) a sottolineare, del personaggio di Holly, la natura lieve e tragica. Se la realtà non è «un paese per gente troppo romantica», allora faticherà Holly e faticherà anche il narratore, convinto che la ragazza non cambierà mai, che resterà così. Ferita. Attraverserà la vita e ne uscirà con lo stesso passo deciso e squilibrato. Alla fine del romanzo non sa dirci che cosa ne sia stato di lei: è andata lontano, da qualche parte, sì, ma l' avrà poi trovato il posto caldo e accogliente che somiglia a una rassicurante gioielleria?
Capote conosce gli inganni del destino: trapiantato senza paracadute dalla provincia al bel mondo newyorkese o hollywoodiano, cerca lo stesso trauma in Holly, in Marilyn Monroe, e perfino in Perry e Dick, i protagonisti di A sangue freddo. Anche i due che massacrano per niente una disgraziata famiglia del Kansas hanno il loro buco nel cuore: «Io pensavo sempre a papà» racconta Perry a Capote, «speravo che lui venisse a portarmi via con sé».
Non sta assolvendo i due assassini, ma si rivede in loro. E per questo non può scrivere "solo" un reportage, deve avanzare - «con un lessico e una sintassi opulenti», dice il traduttore - in una vicenda incandescente per il dolore che ha determinato, per il dolore che l' ha determinata. Deve scrivere anche di quello, Truman. Tentare la registrazione narrativa - come scrive Rollo nella nota conclusiva alla nuova versione - «di una società che rivendica la propria sanità ma non smette di produrre sintomi morbosi, epifanie del Male. Ed è lungo questo tragitto accidentato che Capote ci chiama a seguirlo». Qualunque cosa scriva. Su qualunque storia - dall' esordio delicatissimo di Altre voci, altre stanze al congedo corrosivo di Preghiere esaudite - faccia lo sforzo di non scoppiare in lacrime.