la Repubblica, 28 dicembre 2019
Il libro di Enrico Vanzina su suo fratello
Ci sono lutti nei quali si muore in due. Quello di Enrico Vanzina per la morte del fratello Carlo, avvenuta l’8 luglio del 2018, è uno di questi. È passato ben più di un anno e l’uscita del libro Mio fratello Carlo, edito da HarperCollins, comunica un dolore vivo, lancinante, intollerabile. Per diversi motivi. Il primo: fra i due, Enrico è il maggiore (di due anni) e perdere il fratello più piccolo, per il quale si è sempre provato un tenero sentimento di protezione, è appunto intollerabile. Il secondo: Enrico e Carlo hanno condiviso tutti i giorni di una lunga vita lavorativa, producendo scrivendo montando e promuovendo in coppia i film che Carlo dirigeva. La loro simbiosi era totale. Il terzo (che però è una nostra ipotesi): dev’esserci, nel fratello sceneggiatore, un senso di enorme vuoto perché quella fantastica avventura che per tutti si è chiamata “il cinema dei fratelli Vanzina” forse non continuerà. Quando si arrivava al momento delle riprese, i compiti erano ben distinti: Carlo, da quel formidabile aiuto regista che era stato (per Monicelli e per altri giganti), girava velocemente ed Enrico raramente andava sul set. Enrico non ha mai fatto il regista e non sembra probabile che possa inventarsi tale. Paolo Taviani, che di anni ne ha 88, dirigerà presto un film da solo: sentirà la mancanza di Vittorio (morto il 15 aprile del 2018, anno maledetto) ma ce la farà e sarà comunque “un film dei fratelli Taviani”, mentre un altro “film dei fratelli Vanzina” forse non ci sarà. L’ultimo, Natale a 5 stelle, è stato affidato per la regia all’amico fraterno Marco Risi quando si è capito che Carlo non poteva farcela. La cosa più bella di questo libro è il fatto stesso che esista. Che Enrico abbia avuto la forza di scriverlo. Si astenga l’eventuale lettore che, ripensando alle commedie dei fratelli, pensi di farsi due risate. Qui ci sono solo lacrime. È la cronaca di un anno di dolore: nel luglio del 2017 Carlo scopre di essere malato, nel luglio del 2018 muore. Il libro va avanti e indietro nel tempo e non ti molla per un secondo, perché il talento di narratore di Vanzina non viene mai meno. Mio fratello Carlo è il film che Enrico non avrebbe mai voluto scrivere, l’unico nero e denso come un capolavoro di Bergman; ma è anche il più vero. Anche i momenti di gioia, come la cavalcata della Roma in Champions League o la festa di laurea della figlia alla quale Carlo, impossibilitato a muoversi, “delega” Enrico, sono segnati dal destino che incombe perché si è già compiuto. La cosa più sorprendente del libro è invece una parola di sette lettere che si intravvede in copertina sotto il titolo: “romanzo”. Enrico confessa, nella nota d’autore che chiude il volume, di averci messo «un po’ di mestiere cinematografico». Ma forse la parola “romanzo” nasconde qualcos’altro. Nasconde il tentativo di distanziarsi, di elaborare un lutto che invece è ancora crudo, primario, ingestibile. Nasconde anche il desiderio che il lettore viva la storia come un racconto, che la cognizione del dolore possa arrivare anche a chi non mai sentito nominare né Carlo, né Enrico, né il loro papà Stefano in arte Steno. È la grande scommessa che ogni narratore affronta: parlare di sé, parlare di tutti. Il tempo darà la sua sentenza. Come scrive Enrico nell’ultima riga, «per il momento basta così».