Libero, 27 dicembre 2019
Da Jfk a Bob Marley: i grandi finiti sotto ai ferri
WIMBLEDONX
Un librone del Seicento, scritto con la minuzia di dettagli di un capo chirurgo, Nicolas Tulp, e il paludato stupore del tempo per i segreti del corpo umano e per i passettini bui e fumosi della medicina. In questo volume si racconta una delle operazioni chirurgiche più famose della storia. Quella di un fabbro di Amsterdam, Jan de Doot che da solo, con un coltello e due dita infilate sotto pelle, si asportò un calcolo. Una litotomia che a quel tempo praticavano ragazzotti in gamba, ambulanti, che giravano in lungo in largo, con arnesi degni di un meccanico, incidevano e spingevano giù dallo scroto i calcoli. Scappavano via, veloci quando gli interventi non riuscivano, provocando addirittura, nel 40% delle volte, la morte istantanea del mal capitati pazienti. Jan de Doot fece da sé, col suo garzone, e si guadagnò, lui abile fabbro esperto di arnesi e lame affilate, un posto non di poco conto nella storia della chirurgia per molti anni. Persino secoli. Una storia che ci ha portato fino ad oggi. Alle stanze sterili, agli strumenti sofisticati e tecnologici, e addirittura a pillole e farmaci che a poco a poco stanno sostituendo i bisturi. Una storia fatta di piccoli interventi quotidiani e marginali, di morti improvvise, di miracoli inspiegabili. Ma anche di operazioni chirurgiche famose, finite nella letteratura scientifica e non solo. Arnold van de Laar, chirurgo olandese, ha raccolto 29 interventi celebri in un libro da poco tradotto in Italia, Sotto i ferri. Storia della chirurgia in 29 straordinarie operazioni (Codice edizioni, 345 pagg, euro 26). Nel volume ripercorre i progressi, le scoperte, ma anche le disgraziate circostanze e i vicoli ciechi delle epoche più buie della medicina.
MISTERO IRRISOLTO
La tracheotomia del secolo fu fatta al presidente John Fitzgerald Kennedy. È noto, il paziente raggiunto da un colpo di pistola, morì nel letto del pronto soccorso. Malcolm Oliver Perry fu il chirurgo che lo operò, 34 anni e la tensione di dover fare tutto velocemente, senza errori, con il Paese in attesa sotto i ferri. Proprio nel punto in cui la cannula del tubo doveva essere infilata, Perry trovò nella gola ferita del presidente degli Stati Uniti, il foro che lo sparo aveva provocato. Allungò quel buco, con un’incisione orizzontale, per la sua tracheotomia. Il foro sparì a causa del bisturi, decretando da lì a poche ore uno dei più grandi misteri irrisolti della storia. Dall’autopsia sul corpo di Kennedy non si riuscì mai a capire dove quel proiettile si fosse infilato e quanti colpi, e quindi quante mani, avessero ucciso, di fatto, il presidente. Chi l’avrebbe mai detto, invece, che un personaggio folle e straordinario come Harry Houdini, prestigiatore che si faceva appendere per i piedi, incatenare dentro una cassa inchiodata, l’uomo che si fece buttare nel Golfo di New York dentro una botte piena di birra, potesse morire per una semplice appendicite? La sua fine gli spettatori assidui delle sue esibizioni se la sarebbero aspettata ben diversa. Eppure nel 1926, data della morte di Houdini, essere seppelliti per una banale operazione del genere poteva accadere. Dopo uno spettacolo, un attacco di appendicite lo travolse. Dolori e fitte. Testardo, vanesio, con la data della sua successiva esibizione alle porte, ritardò l’operazione. L’intervento non funzionò, un’infezione letale colpì il mago che morì a 52 due anni.
TECNICA SPERIMENTALE
Mentre Albert Einstein, il genio scopritore della relatività, sopravvisse ad un aneurisma contro ogni previsione di quel tempo. Il professore di Princeton, nel 1948, aveva 69 anni e da qualche tempo avvertiva i sintomi di questa patologia, poco guaribile in quegli anni. L’intervento eseguito dal chirurgo berlinese Rudolf Nissen, passò alla storia non solo perché salvò da morte certa una delle menti più brillanti di sempre, ma anche per l’innovazione dell’operazione in sé. Applicò, con una certa audacia e una gran dose di rischio, una tecnica sperimentale: avvolse l’aneurisma di Einstein con del cellophane, lo stesso materiale che si usava per i dolci, il pane e sigari. Per sette anni, il genio della relatività visse con l’aneurisma a pompelmo in un sacchetto di plastica: un miracolo della storia della chirurgia. Soprattutto se pensiamo che Bob Marley morì per molto meno. Per colpa di un alluce non curato. Un dolore iniziò improvviso a farsi sentire sotto l’unghia, i medici diagnosticarono al famoso musicista un tumore alla pelle, un melanoma. Sarebbe bastato un intervento per mettere fine a tutto: l’amputazione dell’alluce. Ma Bob Marley non volle sentirne parlare. La metastasi del cancro fece il suo corso e pure quando i dolori cosparsero varie parti del suo corpo, anziché operarsi e sottoporsi alle cure, Marley si affidò a un ciarlatano tedesco che sosteneva di poter curare il tumore con una dieta speciale. Scrisse la sua canzone più bella, “Redemption song“, e si lasciò morire a 36 anni e un successo mondiale.