Libero, 27 dicembre 2019
La Coca-cola lascia l’Italia. La Plastic tax mette in crisi l’industria
Primo effetto diretto di sugar e plastic tax: la filiale italiana della Coca Cola lascia la Sicilia. La Sibeg Coca Cola è pronta a trasferire tutta la produzione in Albania a Tirana. L’azienda etnea sarebbe pronta a sbarcare sull’altro lato dell’Adriatico. Secondo i sindacati locali la Sibeg potrebbe essere «costretta a depotenziare gli stabilimenti catanesi spostando gran parte delle produzioni nei nostri impianti di Tirana in Albania». A Catania la succursale della multinazionale delle bevande asssicura 350 posti di lavoro, oltre ai 995 dell’indotto. Ma è solo l’ultima di una serie di crisi industriali da governare. Al ministero dello Sviluppo Economico si contano la bellezza di 153 tavoli di crisi. E si parla di grandi imprese in difficoltà anche da più di 7 anni. A spanne si ritiene che solo tenendo conto di queste aziende in difficoltà ci siano oltre 270mila posti di lavori seriamente a rischio. I casi eclatanti di Alitalia, ex Ilva e Whirlpool rischiano così di tornare alla ribalta delle cronache economiche e sindacali. Ma rappresentano, purtroppo, solo la punta di un iceberg di problematiche rinviate o malgestite. Basti considerare che alcuni casi sono ormai divenuti “storici”, e infatti per ben 28 imprese lo stato di difficoltà dura da più di 7 anni, per altre 76 da almeno 3. Si tratta di realtà industriali che hanno già avviato con le istituzioni (locali e nazionali) l’intenzione di chiudere o ridimensionare in maniera consistente la propria presenza in Italia. Si ipotizzano oltre 200mila posti di lavoro a rischio più, almeno, 70mila addetti che vengono già valutati come coinvolti in piani di ristrutturazioni nelle cosiddette aree di crisi complessa. INTERVIENE LO STATO L’intervento diretto dello Stato è stato già chiesto per i lavoratori di 20 stabilimenti lombardi, 11 in Abruzzo, 10 in Campania e 9 rispettivamente in Lazio, Piemonte e Toscana. Ma è soprattutto il Sud a dover affrontare la batosta più forte. Tanto più che perdere il lavoro nel Mezzogiorno (ma ormai anche nel Centro Italia), lascia come unica ipotesi lo spostamento al Nord o all’estero di interi nuclei familiari con un conseguente impoverimento di certe aree del Paese. SALARI CONGELATI Come se non bastasse chi ha un lavoro “garantito” non vede un rinnovo contrattuale da anni, con un conseguente impoverimento delle buste paga. Secondo il Rapporto Cnel (rielaborato dall’Agi), il prossimo anno comincerà con oltre 4 milioni di lavoratori che si ritrovano con il contratto scaduto. Se a questi si aggiungono anche gli altri contratti in scadenza entro dicembre dello stesso anno il numero sale a 6,5 milioni: quasi la metà di tutto il settore privato. Il XXI rapporto sul mercato del lavoro riepiloga anche la situazione critica per il settore pubblico con 20 contratti collettivi scaduti. Il 31 dicembre 2019, infatti, scadranno i contratti delle aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi (2,4 milioni), quello delle aziende metalmeccaniche (1,4 milioni) e quello della logistica (470 mila). La percentuale dei lavoratori in attesa di rinnovo oscilla tra il 78% del settore metalmeccanico e il 13%-15% del chimico e delle aziende di servizi. L’intervento del governo relativo al taglio del cuneo contributivo è limitato ad appena 3,5 miliardi e interesserà (solo da luglio 2020), i lavoratori dipendenti che possano contare su un reddito lordo sotto i 35 mila euro lordi.