https://www.lettera43.it/stretto-di-messina-microplastiche-in-mare-foto/, 26 dicembre 2019
Il problema delle microplastiche nello Stretto di Messina
Sopra e poi d’un fiato giù, in profondità, negli abissi. “Dove si fermano gli occhi”, appunto. Il reportage di Davide Bertuccio è un pendolo che oscilla tra universi evidenti e nascosti, a volte persino impossibili da esplorare. Il filo conduttore è il mare, il suo, lo Stretto di Messina, con un enorme carico di segreti e uno stato di salute piuttosto precario.
ASSIEME AI RICERCATORI E AI PESCATORI
Lui, 28enne a bagnomaria, grande per la generazione Greta e giovane abbastanza per non sentirsi responsabile dei disastri ambientali, lo ha studiato con i ricercatori dell’università siciliana, lo ha vissuto assieme ai pescatori che a quella distesa blu hanno dedicato la vita, sotto il sole a picco e la pioggia battente. Senza lamentarsi mai, perché, insegnano i Malavoglia, per certe preghiere non è detto ci sia qualcuno disposto ad ascoltarle.
DUE APPROCCI SULLO STESSO PIANO (FOTOGRAFICO)
«Volevo mettere sullo stesso piano i due approcci», spiega il fotografo a Lettera43.it, «chi dice che una determinata situazione secondo criteri oggettivi non possa esistere e coloro che affermano il contrario per averlo vissuto sul campo. Entrambi hanno ragione».
A bordo delle barche coi pescatori.
L’INQUINAMENTO DA UNA PROSPETTIVA NUOVA
Un lavoro di un oltre un anno, tra laboratori e barche, affrontato con l’obiettivo di raccontare l’inquinamento da una prospettiva nuova, diversa e il più possibile completa: «Cercavo una storia e ho incominciato a leggere articoli sulle microplastiche, incuriosendomi al tema. Ho scoperto che, in proporzione alla grandezza, il Mediterraneo è uno dei mari che sono nelle peggiori condizioni». Qui ogni anno – si legge nel reportage – confluiscono tra le 150 mila e le 500 mila tonnellate di macroplastiche, mentre le micro, cioè con un diametro inferiore a cinque millimetri, oscillano tra le 70 e le 130 mila.
Foto dall’interno delle imbarcazioni.
EPPURE LO STRETTO DI MESSINA DOVREBBE ESSERE PULITO
Secondo i dati elaborati dall’Ismar-Cnr con l’università di Ancona, se negli oceani le tracce di materiali simili per chilometro quadrato sono 335 mila, soltanto moltiplicandoli per quattro si avrà una fotografia del “Mare Nostrum”. Non esistono isole felici: «Lo Stretto di Messina, per via delle fortissime correnti, dovrebbe rappresentare un’eccezione ed essere pulito. Condizionale d’obbligo perché la realtà è opposta».
Ogni anno nel Mediterraneo finiscono migliaia di tonnellate di microplastiche.
CRATERI SOTTOMARINI PIENI DI PLASTICA
I motivi essenzialmente due: «Innanzitutto i canyon sottomarini», prosegue Bertuccio, «hanno la capacità di attrarre qualunque cosa ruoti nella loro orbita. Dentro si trova di tutto: pneumatici, macchine, elettrodomestici ammassatisi nel tempo che progressivamente si deteriorano nell’acqua. Con le moderne tecnologie si può pensare di fotografarli, tuttavia il mio budget non era sufficiente per intraprendere l’impresa. L’altro fattore è l’inquinamento in senso lato. L’aumento progressivo delle temperature, per esempio, ha comportato modifiche all’ecosistema e lo spostamento definitivo di numerose specie».
Ricercatori che analizzano il pesce inquinato.
UN PESCE SU TRE È MALATO
Il climate change non fa sconti, ma chi resta non se la passa meglio e i numeri sono spietati. «Il 37% sul totale del pescato si porta nello stomaco microplastiche», continua Bertuccio. «Per dimostrarlo, sono stato con gli scienziati al mercato, dove abbiamo comprato tre pesci che sarebbero potuti arrivare facilmente sulle nostre tavole. Giunti in laboratorio li abbiamo aperti e sezionati: come volevasi dimostrare, uno era malato».
Il 37% del pescato ha dei rifiuti nello stomaco.
PICCOLISSIME PARTICELLE ANNIDATE OVUNQUE
A rendere peggiore il quadro c’è una serie di constatazioni: «Nella normalità dei casi ed escludendo pesci che per piccole dimensioni si consumano interi, le plastiche risiedono in parti dell’organismo che non vengono mangiate dagli esseri umani. Siamo ben lontani, però, dal poter tirare un sospiro di sollievo. Esistono, infatti, le nanoplastiche di dimensioni ridottissime e annidate ovunque».
IL FOTOGRAFO SICILIANO CHE HA GIRATO IL MONDO
Trasferitosi dalla Sicilia a Milano dopo il diploma, Bertuccio si era iscritto alla facoltà di biotecnologie mediche, presto abbandonata per inseguire la passione della vita. Quattro anni dopo si è laureato allo Ied e ha iniziato a girare il mondo, macchinetta rigorosamente in spalla. Inserito nel 2014 tra i 10 fotografi under 25 più promettenti d’Italia e nel 2019 tra i nominati al prestigioso 6×6 World Press Photo Global Talent, pur giovanissimo, ha già allestito mostre da Tokyo a Parigi, passando per gli Stati Uniti e facendo ovunque incetta di premi: «Eppure narrare le vicende di casa ha un sapore speciale. Gran parte dei miei coetanei è stata costretta a emigrare per inseguire i propri sogni, soprattutto se coincidevano con professioni creative. Tornare e contribuire nel mio piccolo a fare qualcosa per questo posto è motivo d’orgoglio. Chi ha il mare dentro, d’altronde, se lo porta sempre dietro».
SULLE IMBARCAZIONI SI CONDIVIDE TUTTO
Nell’ultimo anno ha vissuto fianco a fianco con i pescatori, invadendo il loro universo fino a diventarne parte integrante: «Sono stato sulle feluche, le tradizionali imbarcazioni su cui si caccia lo spada nello Stretto o ospite delle “lampare”, piccole barche che attraggono i pesci attraverso un raggio di luce. Si usavano un tempo per pescare le aguglie, ora è l’usanza è praticamente scomparsa». Il motivo piuttosto scontato: «Non si prende nulla, l’ho constatato di persona». Sono le conseguenze dello sfruttamento intensivo: «Le reti hanno certamente apportato un contributo pesante in termini di devastazione, i fondali sono colmi di residui in cui gli animali continuano intrappolarsi». Con la pesca magra rimangono i ricordi, sugellati dagli scatti: «A bordo impari a condividere tutto, non esistono i concetti di mio e tuo. Le giornate sono dure, segnate dal sole: iniziano all’alba e si concludono al tramonto». In mezzo, tanto lavoro e lo spazio di un panino, sperando che almeno stavolta il mare sia clemente.