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 2019  dicembre 27 Venerdì calendario

La sentenza sulla coltivazione della cannabis in casa, spiegata

La Corte di Cassazione ha stabilito che coltivare marijuana in casa in piccole quantità e per uso personale non costituisce reato. La sentenza è stata emessa lo scorso 19 dicembre dalle sezioni unite penali, in riferimento a un ricorso presentato a ottobre: le motivazioni devono ancora essere depositate, quindi i dettagli della decisione non sono noti. La sentenza non significa che sia cambiata la legge, né che d’ora in poi tutte le sentenze di grado inferiore saranno necessariamente analoghe: ma è comunque una cosa importante per il trattamento giuridico dei casi simili in Italia.

Anche se le sentenze della Cassazione non hanno di per sé un valore vincolante se non per il procedimento giudiziario per il quale vengono emesse, quelle decise dalle sezioni unite sono molto autorevoli e rappresentano la cosa più vicina a dei precedenti vincolanti prevista dall’ordinamento italiano. È probabile, insomma, che l’orientamento della sentenza sarà seguito d’ora in avanti dai giudici che dovranno decidere sullo stesso tema. Dice la sentenza che:

Non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.

Il riferimento è alla marijuana coltivata in piccoli vasi e consumata soltanto privatamente. Esistono kit che rendono l’operazione molto semplice, che in certi casi si possono comprare anche su internet.

In passato la Corte Costituzionale si era espressa sulla materia, stabilendo che anche questo tipo di coltivazione costituiva un reato. Era stata chiamata in causa nel 2016, in riferimento a una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Brescia. Detenere piccole quantità di marijuana non è più un reato dopo l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, ma soltanto un illecito amministrativo: la Corte di Appello di Brescia aveva quindi rilevato una possibile contraddizione giuridica riguardo al reato di coltivazione. Ma la Corte Costituzionale aveva stabilito diversamente, “nel solco delle sue precedenti pronunce in materia”.

Il principio era che, indipendentemente dalla quantità di piantine e di principio attivo nella marijuana, coltivandola si aumentava la quantità di droga in circolazione e quindi si poteva contribuire al fenomeno dello spaccio. La disparità di trattamento tra il detenere marijuana per uso privato e possedere una o poche piantine, aveva stabilito la Corte, è che nel primo caso la quantità di sostanza stupefacente è determinata, nel secondo no.

Prima della sentenza della Corte Costituzionale, anche la Cassazione – che giudica in terzo grado la legittimità dei processi – aveva annullato le condanne ad alcune persone trovate a coltivare piccole quantità di marijuana. La sentenza della Corte Costituzionale aveva chiarito giuridicamente la questione, e la Cassazione si era successivamente adeguata confermando le condanne per persone trovate in possesso di poche piantine. Non è chiaro a cosa sia dovuto il recente cambiamento di orientamento della Corte di Cassazione: le motivazioni della decisione dovrebbero aiutare a capire.