la Repubblica, 27 dicembre 2019
Ritratto di Maria Antonietta
Il 21 aprile 1770 Maria Antonia di Asburgo-Lorena lasciava a quindici anni la reggia di Schönbrunn per non farvi mai più ritorno. Sua madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, l’aveva destinata in sposa a Luigi Augusto, delfino di Francia, per rafforzare il patto d’alleanza tra i due paesi.
Tuttavia, prima ancora che l’incantevole arciduchessa toccasse il suolo del paese di cui sarebbe diventata regina, Goethe preconizzava per lei un destino tragico. Visitando il padiglione costruito sull’isola delle Spezie, in mezzo al Reno, dove qualche giorno dopo Maria Antonia, ribattezzata Marie-Antoinette, sarebbe passata dalle mani della delegazione austriaca a quella inviata da Versailles, lo scrittore si era accorto con raccapriccio che gli arazzi che decoravano la sala raffiguravano il mito di Medea. Come non vedere in quelle immagini una premonizione sinistra per la giovane sposa? E in effetti cosa di più terribile della lunga via crucis a cui la rivoluzione francese l’avrebbe condannata 23 anni dopo?
Eppure è proprio grazie a quel calvario conclusosi con la ghigliottina che Maria Antonietta entrava nel mito. Un mito che è andato assumendo valenze diverse, stagione dopo stagione, affascinando un pubblico sempre più vasto.
A dire il vero, era stata l’impopolarità e l’incomprensione suscitata da Maria Antonietta nella sua nuova patria a preludere a questa apoteosi. Diventata regina nel 1774, la giovane donna aveva presto deluso le aspettative che pesavano su di lei e, dopo una breve luna di miele, i suoi sudditi avevano smesso di amarla. Per la nobiltà di Versailles l’Austriaca veniva meno a tutti i doveri della sua posizione: si rifiutava di sottostare all’etichetta che garantiva a ciascuno il rispetto che gli era dovuto, si sottraeva alle cerimonie che costituivano il fulcro della vita della reggia; si isolava con un piccolo gruppo di favoriti che approfittavano di lei facendo incetta di tutte le cariche e le prebende più ambite.
Ma se, chiamata a vivere in pubblico, la sovrana si sottraeva allo sguardo dei suoi cortigiani, questo non voleva dire che aveva qualcosa da nascondere? I cortigiani non avrebbero tardato a vendicarsi dell’oltraggio subito attribuendole degli amanti, denunciando la sua passione per il lusso, per i vestiti, per i gioielli, per la moda, gettando le basi della sua leggenda nera.
Né le cose andavano meglio a Parigi dove la regina si recava quanto più spesso poteva per partecipare in incognito ai divertimenti della capitale. Figlia della sua epoca, Maria Antonietta desiderava solo vivere e divertirsi come facevano le sue amiche ma per i francesi la regina era una figura sacra, inaccessibile, al di sopra di ogni sospetto, non una donna come tutte le altre.
E anche se, con il passare del tempo, la tanto sospirata maternità, l’indulgenza affettuosa che le dimostrava Luigi XVI, l’amore ricambiato per Fersen l’avevano profondamente cambiata, la sua reputazione di regina frivola, immorale e avida di denaro le si era incollata addosso e gli uomini della rivoluzione ne avrebbero fatto tesoro.
Ma come ha scritto nella sua splendida biografia Stefan Zweig, è nel momento in cui le si strappava la corona che Maria Antonietta rivelava di possedere tutte le virtù delle grandi regine: la dignità, il coraggio, la costanza nelle avversità, la determinazione, l’eloquenza.
A distanza di vent’anni dalla grandiosa mostra che le aveva dedicato il Grand Palais, a Parigi, quella piccola ma affollatissima che si tiene ora alla Conciergèrie, sempre nella capitale francese, mette in scena gli ultimi 72 giorni da lei lì trascorsi, nel corso del processo che l’avrebbe condannata alla ghigliottina. I visitatori possono vedere, esposti come reliquie, una serie di ricordi e di oggetti di uso quotidiano di cui Maria Antonietta si era servita nei luoghi in cui sola, ammalata, separata dai figli, si era preparata ad affrontare il suo ultimo viaggio.
Ma la mostra si propone ugualmente di illustrare come la vedova Capeto sia entrata nel mito. Oggetto di un culto che resiste tenacemente a tutte le revisioni storiche, è oggi, come mette ugualmente in luce l’iconografia dell’esposizione, l’adolescente piena di sogni e sacrificata sull’altare della ragion di Stato a un matrimonio infelice e alla solitudine affettiva che affascina le nuove generazioni. In anticipo sul suo tempo, la sua aspirazione a una vita privata dove potere essere finalmente prefigura – a incominciare da Lady D – molte principesse moderne. Mentre nel film di Sofia Coppola è assurta a modello archetipico delle adolescenti irrequiete e ribelli.
Ma è soprattutto come icona della moda che Maria Antonietta gode ora di una celebrità senza confini. Quella moda che le era stata così aspramente contestata dai suoi contemporanei, mentre ora detta legge sul mondo intero.