la Repubblica, 27 dicembre 2019
Fioramonti non uscirà di scena. Il punto di Stefano Folli
Non sono pochi coloro che hanno concesso all’ormai ex ministro Fioramonti l’onore delle armi: in fondo è abbastanza raro trovare un politico che promette di dimettersi e poi lo fa davvero. Detto questo, il gesto natalizio del titolare della Pubblica Istruzione non ha l’aria di un colpo di testa, quanto di una mossa politica studiata da tempo per ricavarne il massimo vantaggio anche elettorale. Una mossa che non a caso prende forma all’indomani della nascita del Conte 2, quando Fioramonti chiese tre miliardi per finanziare scuola e università: senza quelle risorse, disse, se ne sarebbe andato. E così è stato. A questo punto bisogna collocare la decisione nel suo contesto.
Ossia nel marasma in cui sta sprofondando il Movimento 5 Stelle. Come nell’antica Cina feudale, il territorio è solcato da “signori della guerra” impegnati in uno scontro di potere dai tempi lunghi, mentre l’autorità centrale è appannata e sempre meno verosimile, come il caso Di Maio dimostra ogni giorno di più. Il “capo politico” del movimento è di norma tra l’incudine e il martello: se cerca di tamponare le crisi interne lo accusano a ragione di non conoscere nemmeno l’indirizzo della Farnesina; se viceversa prova a fare il ministro degli Esteri, per esempio annunciando un abboccamento con l’omologo russo Lavrov al fine di risolvere, nientemeno, la crisi in Libia, suscita un senso di generale scetticismo accompagnato da facili ironie. È la perfetta fotografia del declino in cui si consuma quello che in Parlamento è tuttora il gruppo di maggioranza relativa.
Quanto può durare questa situazione? Il Conte 2 perde pezzi e Fioramonti non era certo un ministro di secondo piano. Al punto in cui siamo, si rischia di continuo un piccolo 8 settembre, un “tutti a casa” il cui unico freno resta il desiderio di evitare le elezioni a breve. Non è una resistenza da poco, ma è meglio non sottovalutare il continuo urto contro oggettivi fattori destabilizzanti: può dare esiti imprevedibili. Del resto, il primo a badare al suo futuro è proprio il presidente del Consiglio che sta giocando da tempo una partita personale raccordandosi con il Pd di Zingaretti da cui ha ottenuto il viatico come “campione progressista” (in evidente antitesi a Renzi). Lui e adesso Fioramonti – diverso il caso di Paragone, vicino alla Lega – vorrebbero rappresentare, ciascuno nel proprio ambito, il volto credibile di una forza che fu anti-sistema e che oggi cerca di sopravvivere divisa ma non ancora cancellata. Conte ne incarna ovviamente il profilo istituzionale e governativo e si sforza di costruire un personaggio che sia persino attraente sul piano elettorale. Vedremo se ci riuscirà.
Anche Fioramonti sta tentando un’operazione insieme politica ed elettorale. Politica, perché è tutta rivolta verso il M5S snaturato, nella sua idea, dalla gestione Di Maio.
Elettorale, perché l’ex ministro vuole accreditarsi come colui che si è battuto e si batterà in futuro per gli insegnanti, per il grande pianeta scuola ingiustamente penalizzato.
Tuttavia Fioramonti dovrebbe prima spiegare perché ha sostenuto il reddito di cittadinanza e Quota 100, misure che hanno dragato risorse enormi nei conti pubblici. È un po’ troppo facile chiedere nuove tasse per finanziare l’Istruzione quando si è fatto di tutto per accrescere il debito.
Comunque sia, Fioramonti non uscirà di scena. Farà concorrenza alla sinistra storica – e al Renzi di Italia Viva – nel cercare il favore e il voto del pubblico impiego, a cominciare dai professori. I “signori della guerra” restano in attività.