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 2019  dicembre 26 Giovedì calendario

Le polemiche sul presepe

Che è quasi Natale te ne rendi conto dal- la Via Lattea di lucine accese ovunque e dal fatto che nessuno – nemmeno
Greta Thunberg o la Federconsumatori – ci inviti a spegnerle ricordandoci le questioni climatiche o la stangata in arrivo della bollet- ta dell’elettricità.
Te ne rendi conto dalla Muraglia cinese di panettoni nei supermercati, dalla pub- blicità della Coca Cola, dai ragionamenti in ufficio, calendario alla mano, su chi prende le ferie e quando.
Te ne rendi conto perché, puntualmente, si scatenano i moti popolari per il presepe nelle scuole. C’è chi non lo vorrebbe in no- me del principio di laicità dello Stato e di una società multietnica: non si devono im- porre simboli cristiani a bambini di fami- glie che credono in altre religioni o non so- no credenti. C’è chi il presepe lo pretende, eccome, rivendicando il cattolicesimo come parte integrante della propria identità, an- zi del proprio corpo, al pari di una gamba o un braccio.
È la solita zuffa prefestiva: la recita dei genitori che precede la recita dei bambini.
Alcuni minacciano che ritireranno i pro- pri figli da scuola se in classe si canterà “Astro del ciel”. Altri minacciano di fare al- trettanto se in classe non si canterà “Astro del ciel”.
Voglio rassicurare tutti che cantare o non cantare “Astro del ciel” in classe non è determinante per lo sviluppo psico-fisico di un bambino dell’asilo, semplicemente per- ché non ne capisce il significato. Cosa vole- te che capisca un bambino della frase “Tu che i Vati da lungi sognar”? Cosa volete che sappia di cos’è un “Redentòr”? Io – che “Astro del ciel” l’ho cantata a ogni recita di Natale – ero convinta che Dentòr fosse il no- me di un re: re Dentòr.
Quest’anno a stupirmi non è soltanto la veemenza dei toni con cui si affronta l’argo- mento presepe, ma il fatto che, mentre ci si accapiglia, passi in sordina la notizia del crollo del controsoffitto in una scuola ele-
mentare a Orte. Sedici bambini sono stati messi in salvo un attimo prima, grazie a Dio, ad Allah, a Buddha, o al presentimento di qualche maestro.
L’episodio di Orte non è un caso isolato. Un report di Cittadinanzattiva ha denun- ciato che in Italia ogni tre giorni in un edi- ficio scolastico si verifica un crollo, “mai co- sì tanti dal 2013”. La tragedia di San Giu- liano del 2002, nella quale morirono venti- sette bambini e la loro maestra, non è servi- ta a farci capire che se c’è una “messa” da fa- re con urgenza è la messa in sicurezza.
Si continua a guardare la pagliuzza (quella della mangiatoia del presepe) e non ci si accorge della trave (quella del soffitto che cede). Ci si infervora nei dibattiti sul crocifisso nelle scuole, ma a San Giuliano, a fare la differenza non è stata la presenza o l’assenza del crocifisso: i simboli non sono dotati di funzione statica e antisismica.
Quest’anno, al di là di ogni religione, mi piacerebbe che tutti, consapevolmente, re- citassimo un Credo comune: “Credo nella responsabilità degli uomini. Credo nella giustizia, che sia fatta qui, in terra, e non delegata al regno dei cieli. Credo nella veri- tà: di infinite versioni l’unica capace di far tornare tutti i conti. Credo nella politica lontana dal divismo. Credo che la corruzio- ne e la speculazione siano il cancro di que- sto Paese e vanno estirpate come le maler- be. Credo in chi non spreca, ma salva il sal- vabile. Credo in chi professa, indipendente- mente dalla religione, la sacralità della vi- ta. Credo che ci sia qualcosa di divino in tut- ti quelli che mettono in opera il bene. Credo che sia disonesto chiamare “tragedie” eventi che in un Paese civile si possono e si devono evitare. Credo che vada abolita l’espressione “Così sia”, intesa come accet- tazione di una volontà superiore e divina, laddove basta una volontà inferiore, la no- stra, a far andare diversamente le cose. Senza più dire ’Amen’”.