Wlodek Goldkorn per ''L'Espresso'' del novembre 2007, 25 dicembre 2019
E VOI, LA CONOSCETE LA STRAGE DEI THYSSEN? - PER RICORDARE COS’ERA IL NAZISMO A CHI CIANCIA DI ’’HITLER DIFENSORE D’EUROPA’’, LA TERRIFICANTE STORIA DELLA BARONESSA VON THYSSEN-BORNEMISZA (SÌ, QUELLI DELL’ACCIAIO E DEL MUSEO PER RIPULIRSI L’IMMAGINE) ORGANIZZA UNA FESTA A BASE DI ALCOL E SESSO NEL SUO CASTELLO. È IL ’45, LA GUERRA È PERSA E I RUSSI SONO A 15 KM. MA LA PADRONA DI CASA OFFRE UNA SERIE DI FUCILI AGLI OSPITI E SI FA PORTARE 200 EBREI DA UN LAGER VICINO. LI PORTANO IN UN FIENILE, LI SPOGLIANO E… -
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È tutto vero. Il massacro c’è stato. È accaduto durante la festa che la contessa Margit von Thyssen Bornemisza ha dato per i suoi ospiti al castello di Rechnitz il 24 marzo 1945. Presumo, dagli indizi piuttosto forti, che lei era lì, mentre si sparava ai prigionieri, ma non ho le prove materiali, i testimoni oculari non sono più tra i vivi...
David R. L. Litchfield nel passato si è occupato di riviste glamour. Assieme al celebre fotografo David Bailey pubblicava a Londra il patinatissimo ’Ritz’. Poi, all’improvviso gli è capitata tra le mani una delle più raccapriccianti storie del secolo scorso. La storia, che sembra scritta apposta per illustrare che cosa è il male metafisico, un male assoluto, senza alcuna ragione né razionalità, è quella di una festa danzante in un castello al confine tra l’Austria e l’Ungheria, dove vengono uccisi quasi 200 ebrei, ammazzati per divertire la castellana e i suoi amanti.
La Seconda guerra mondiale ha tramandato molte vicende di assassini di massa, compiuti per eseguire ordini malvagi. E basti pensare ad Auschwitz, dove uomini e donne delle SS mandavano ogni giorno persone alle camere a gas e poi la sera e nel weekend andavano a divertirsi nella baita sulla riva del fiume Sola. È accaduto qualcosa di simile anche con gli uomini del Battaglione 101 che massacravano gli ebrei in Polonia (descritti nel libro di Christopher Browning, ’Uomini comuni’). Qui la storia è diversa: il massacro è il culmine estetico di una festa dei dannati che dopo ore di balli, bevute, seduzioni, si danno al piacere di uccidere per uccidere, e poi tornano a ballare, bere e sedurre.
Questa storia di 52 anni fa era nota, ma ha scosso le coscienze e ha provocato una vera discussione solo in questi giorni, perché se ne è parlato sulla ’Frankfurter Allgemeine Zeitung’. Dice a ’L’espresso’ Litchfield, che assieme alla moglie Caroline Schmitz (che lo ha aiutato nelle ricerche) abita nell’Isola di Wight: "Ho cominciato questo lavoro nel 1992 per ragioni commerciali. La famiglia von Thyssen mi ha commissionato un libro che avrebbe celebrato la loro dinastia. Poi ho fatto le mie scoperte". È nato così ’The Thyssen Art Macabre’, pubblicato a febbraio scorso a Londra, e dedicato appunto alla famiglia Thyssen, gotha del jet set e giganti dell’acciaio, e che ha posseduto la più grande collezione privata dell’arte del mondo, ceduta allo Stato spagnolo dal barone Heini von Thyssen Bornemisza, negli anni Novanta.
Ma torniamo a quella notte. Lo scenario è quello di ’Götterdämmerung’, il crepuscolo degli dei. Mancano poco più di sei settimane alla resa del Terzo Reich. L’Armata rossa si sta avvicinando ai confini dell’Austria, a Rechnitz. Nella follia dei capi del nazismo, decine di migliaia di ebrei ungheresi vengono portati, in una ’marcia della morte’ verso Ovest, verso l’Austria, per costruire la ’Ostwall’, il vallo orientale: Hitler pensa di poter fermare l’avanzata dei sovietici. Molti di quegli ebrei muoiono strada facendo, alcune centinaia, finiscono a Rechnitz. Secondo Litchfield, 600 di loro sono alloggiati "in condizioni disumane nei sotterranei del castello".
Il castello, a sua volta, è abitato da Margit von Thyssen Bornemisza, sposata con il conte Ivan Batthyány. "Margit", racconta Litchfield, "era una donna sessualmente molto attiva, e poi le piaceva moltissimo andare a caccia". Sono due caratteristiche che hanno a che fare, spiega, con ciò che è successo quella notte. Al castello Margit non è sola. La dimora è requisita dalle SS, "ma la famiglia Thyssen, dalla Svizzera, dove vive il padre Heinrich e il fratello piccolo di Margit, Heini, contribuisce al suo mantenimento".
E a Rechnitz ospite fisso è Joachim Oldenburg, iscritto al partito nazista e funzionario della Thyssengas, azienda di famiglia e una specie di curatore di Margit. "In realtà è il suo compagno di caccia e di letto", precisa Litchfield. L’altro personaggio chiave è il locale boss della Gestapo, Franz Podezin. Anche Podezin è compagno di letto dell’irrequieta contessa.
La notte del 24 si dà dunque una grande festa. Passata la mezzanotte, una quindicina tra gli invitati va in una stalla vicina, fa spogliare i circa 180 prigionieri "inadatti al lavoro" e spara. Al termine della carneficina, si torna a ballare, a bere, forse a fare sesso, "ma le donne presenti erano solo quattro, e se mi chiede se è stata un’orgia, le rispondo: è stata un’orgia di violenza", precisa Litchfield. Come è potuto accadere? E cosa è successo dopo? E come mai una storia così terribile viene lanciata nei media solo oggi, e da un giornalista che candidamente ammette di non essere uno storico (accusa fattagli da Wolfgang Benz, autore di importanti libri sull’antisemitismo, alla radio di Stato tedesca)?
Intanto, passata la sbronza, uccisi altri prigionieri (testimoni del massacro), la bella gente di Rechnitz dà fuoco al castello. "È uno scenario da fine del mondo", dichiara Peter Wagner, scrittore, regista, autore di una pièce teatrale intitolata ’März. Der 24’: "Le fiamme si potevano vedere fino in Ungheria". E poi? "Poi arrivarono i russi", spiegano Litchfield e Wagner. E la giustizia fu fatta? La risposta a questa domanda la dà il professor Josef Hotwagner. Hotwagner ha 70 anni, è un ex insegnante del locale liceo: "Di mestiere sono storico, so di cosa parlo", precisa a ’L’espresso’, e poi fa una premessa: "Nel Paese si diceva che la contessa assisteva, anche prima del 24 marzo, ad atti di crudeltà verso i prigionieri. Ne traeva una specie di godimento".
E poi prosegue: "Dopo, c’era tanta paura". Spiega Litchfield: "Due testimoni, Karl Muhr e un ebreo ungherese sono stati trovati morti nel 1947. Il testimone ebreo morì in un ’incidente d’auto’, Muhr perse la vita nel 1946". Precisa Hotwagner: "Nel 1945 è stato Muhr a distribuire le armi agli assassini. Nel 1946, gli hanno sparato nel bosco. Il suo corpo era mezzo bruciato. Il suo cane è stato pure ucciso. E anche la casa venne incendiata. L’ispettore Sirowatka (morto nel 2002) cominciò un’indagine, ma fu rimosso. Fu detto che era per proteggerlo dai russi".
Come è successo che una storia che sembra tratta da un romanzo di forte impronta nichilistica (altro che ’Le benevolenti’ di Jonathan Littell) sia finita in mano a un giornalista glamour? Risponde Litchfield: "Quando facevo la rivista ’Ritz’, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, frequentavo Francesca von Thyssen. Era giovane. Era interessata alla fotografia". Nel frattempo Francesca ha sposato Karl von Habsburg, si è impegnata nelle vicende della ex Jugoslavia, promuove cause umanitarie e buone. "No, non penso che Francesca abbia mai avuto dei rimorsi di coscienza per il passato della famiglia", dice Litchfield, "in ogni caso mi ha fatto conoscere suo padre Heini", ossia il barone Hans Heinrich Thyssen Bornemisza de Kaszón, nato nel 1921 in Olanda, morto nel 2002 in Spagna, e fratello di Margit, la castellana.
Heini era un grande collezionista d’arte. Nella sua Villa la Favorita a Lugano c’erano opere di ogni genere ed epoca: da Ghirlandaio a Pollock. Era anche un viveur, ha avuto cinque mogli, l’ultima, Carmen Cervera detta Tita, ex miss Spagna. "Mi piaceva Heini", racconta Litchfield, "il barone cercava qualcuno che scrivesse la storia della dinastia, aveva un candidato spagnolo, con cui litigò. E siccome pagava bene, mi sono offerto io. Credevo di dover occuparmi della storia dell’arte".
Litchfield racconta invece di aver scoperto degli scheletri nell’armadio e tanti silenzi: "Mi ha colpito il fatto che con la mia attuale moglie Caroline, lui non voleva parlare in tedesco. Era per una specie di senso di colpa?", si chiede. E poi racconta: "C’erano bugie: non ultima, la versione per cui Margit sarebbe stata scostante, poco sociale, e che il castello sarebbe stato fatto saltare in aria dai sovietici". E indagando sulla famiglia, Litchfield scopre due cose. La prima: i Thyssen "sono sempre stati degli arrampicatori sociali". Ad esempio Heinrich, padre di Heini, sposò la baronessa Bornemisza de Kaszón e si fece adottare dai suoceri per acquistare il titolo nobiliare.
Comunque, Heinrich sapeva amministrare i suoi beni. Dopo la Prima guerra mondiale va a vivere in Olanda. Successivamente si trasferisce a Lugano. Dice di essere in fuga dai nazisti. In realtà, secondo Litchfield, la famiglia traffica con Hitler, vende armi, trasferisce soldi. Altro che bel mondo dorato e patinato. Litchfield si appassiona alla ricerca, lavora al libro per 14 anni. "Da bravo professionista volevo onorare il contratto. Così ho consegnato a Tita, vedova di Heini (che nel 2006 ha fatto scalpore adottando in California, all’età di 63 anni, due gemelle) un libro agiografico come richiesto, mentre con l’editore Quartet ho pubblicato la storia come l’ho conosciuta davvero".
A Rechnitz nel frattempo tutti sapevano. Dice Hotwagner: "La storia è stata pubblicata nel 1985 sulla ’Oberwarter Zeitung’. Ed è stato costruito un monumento alle vittime". Accade spesso in Europa centrale che si parli degli orrori della Shoah, storie successe in piccoli centri, senza che nessuno disturbi colui che racconta, ma senza neanche che qualcuno si degni di ascoltarlo. È successo, ad esempio in Polonia, dove nel 1941 nel paese di Jedwabne la popolazione cattolica uccise quasi tutti gli ebrei vicini di casa. La vicenda era nota, ma nel 2001, con la pubblicazione del libro dello storico Jan Tomasz Gross (’Gli assassini della porta accanto’), di quell’evento si cominciò a parlare come se fosse inedito. Così, sulla vicenda di Rechnitz è stato girato (nel 1994) un documentario, ’Totschweigen’ (star zitti fino alla morte).
Riassume la vicenda il regista teatrale Wagner, originario di quelle parti: "Nel mio dramma faccio parlare i testimoni della strage: i cuochi, i servitori, faccio apparire Margit sul luogo della strage, anche se con nome cambiato. Nessuno mi ha mosso una critica, nessuno mi ha denunciato o querelato. Silenzio". E spiega: "Siamo in Austria. Quando arrivarono i sovietici preferirono accreditare la versione di un paese vittima di Hitler, o forse non volevano inimicarsi la gente. E poi Rechnitz è una piccola cittadina, dove vige la regola che i panni sporchi si lavano in famiglia". Finché non arrivò un giornalista glamour con il proposito di guadagnare un po’ di soldi esaltando una famiglia potente, per poi raccontare una storia che supera ogni immaginazione.